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Campagne sicurezza “grottesche e offensive”: scoppia la polemica sul web

da | Ott 23, 2014 | Approfondimenti | 0 commenti

Quanti di voi prima del terremoto conoscevano la conformazione sotterranea del territorio? Quanti di voi prima dello scandalo del Rapporto Ichese sapeva che siamo una ricca zona di estrazioni petrolifere? E quanti prima dell’alluvione di gennaio conoscevano lo stato in cui versano gli argini dei nostri fiumi?
La scienza è spesso lasciata agli esperti, anche a scuola entra pochissimo e per questo nascono le campagne informative specifiche, finanziate coi soldi pubblici, che servono non solo a fini meramente conoscitivi, ma soprattutto a mettere in campo la giusta prevenzione e, nel caso del disastro, arginare e aiutare per quel che è possibile.

Eppure le campagne sulla sicurezza del territori in questi giorni, dopo l’alluvione di Genova, sono sotto accusa. E’ stato un importante sociologo che ha definito, in particolare una campagna che è attiva da anni anche nella Bassa, “grottesca e offensiva”. E i volontari che quella campagna la animano rispondono.
Ecco cosa si legge sul giornale della Protezione Civile, in un intervento a firma di Patrizia Calzolari.

“Difficile definire esattamente la reazione emotiva suscitata alla lettura dell’articolo pubblicato su repubblica.it relativo alla campagna delle buone pratiche di protezione civile “Io non rischio”: stupore? rabbia? incredulità? Sicuramente un attacco così virulento nei linguaggi e nei modi ci ha sconcertati. Ci è sembrato contro ogni logica. Sono anni che si parla di prevenzione, resilienza, auto-protezione e, nel momento del dolore e del fango, si punta il dito su uno dei pochi strumenti che il cittadino ha a disposizione  per conoscere i rischi dei proprio territorio e sul come affrontarli.
E’ un articolo che fa male, se si pensa ai tanti volontari che sono stati formati, che si sono spesi e si sono dedicati con passione a questa campagna, che ci hanno creduto negli anni passati, ci hanno creduto anche quest’anno e che continueranno, speriamo, ad essere nelle piazze italiane, sempre più numerose ogni anno che passa.
Cos’è io non rischio? E’ una campagna informativa che dapprima forma i volontari di protezione civile sulla conoscenza e lacomunicazione del rischio per poi farli andare in piazza, nella loro città, a incontrare i cittadini e informarli a loro volta, sulla base della del concetto della formazione “a cascata”.
Nessuno, nessuno mai si è sognato di affermare: “Dieci minuti di chiacchierata in piazza con il volontario “io non rischio” garantiscono la sicurezza al 100 %, polizza a vita contro ogni calamità”. Nessuno lo ha mai detto, né scritto, né pensato.
Nessuno ha nemmeno mai detto scritto o pensato: “Cari cittadini, quando l’onda di fango travolge la vostra casa, quando il terremoto ne sconquassa le fondamenta, allora sedetevi al computer sotto un muro portante o con gli stivali  di gomma e andate a leggervi  le norme di comportamento suggerite”. Questo invece è l’interpretazione che sembra voglia darne l’articolo di repubblica.it, quando, parlando dei manifesti affissi a Genova che annunciavano la campagna “io non rischio alluvione” la definisce “grottesca, offensiva, umiliante, sconcia”.
Lo scopo della campagna “io non rischio” è quello della prevenzione, dell’informazione, della diffusione della cultura di protezione civile. Sì, le immagini sono semplici, così come possono sembrare banali o scontati certi comportamenti suggeriti, forse sì, ma qui si sta parlando di un’Italia ancora poco alfabetizzata dal punto di vista della conoscenza della protezione civile, di una Italia che fraintende il concetto di autoprotezione con l’esortazione “arrangiati”: niente di più sbagliato. Non si possono insegnare le equazioni se prima non si conoscono le tabelline, non si può scrivere un bel testo se non si conosce la grammatica, e il nostro Paese, in fatto di diffusione e introiezione dei concetti di protezione civile è ancora all’abc. Attribuire alla campagna messa in atto da Dipartimento della Protezione Civile, Anpas, Ingv e ReLuis la diffusione del messaggio che la vittima è colui che non ha seguito queste istruzioni” significa attribuirle la colpa di volersi lavare le mani nel fango di Genova o ripararsi sotto l’ombrello delle macerie del terremoto emiliano.
“La Protezione Civile – si legge nell’articolo di repubblica.it – si può fare egregiamente nei paesi e nei quartieri, ma occorre che la partecipazione popolare sia organizzata dalle istituzioni. Prima di tutto serve la bonifica dei fattori a rischio, altrimenti non può esserci prevenzione. Poi bisogna sperimentare cosa, come e dove fare le cose. Le famose ‘prove d’allarme’, avete presente?”. Sì noi le abbiamo ben presenti, ne diamo contezza quasi giorno, piccole e grandi esercitazioni, prove di evacuazione, prove per posti di comando, simulazioni di soccorso negli ambienti più disparati e per tutti i tipi di rischio presenti, se ne fanno in continuazione, alcune coinvolgono interi paesi, alcune coinvolgono addirittura diverse nazioni, esercitazioni transfrontaliere, transnazionali, europee.E “la partecipazione popolare organizzata dalle istituzioni” che auspica l’articolo non è esattamente quello che sta si  facendo la campagna “io non rischio”? Il dipartimento della protezione civile, che, lo ricordiamo non è un ministero, ma è una struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non è forse una istituzione? L’INGV non è forse il punto di riferimento nazionale in tema di terremoto e vulcani?  E che dire di Anpas e Reluis ? Gli uomini e le donne di Anpas, che oltre ad essere  volontari sulle ambulanze e non solo, sono fra i principali protagonisti di Io non rischio, se la meritano l’accusa di aver portato avanti una campagna “grottesca, offensiva, umiliante, sconcia?”

Le indicazioni di autotutela da mettere in atto prima, dorante e dopo l’emergenza che nell’articolo vengono tanto ridicolizzate (chiudi il gas, il riscaldamento, l’energia elettrica, sali ai piani superiori senza usare l’ascensore; non scendere nelle cantine e nei garage, aiuta i disabili e gli anziani, non bere acqua dal rubinetto di casa: potrebbe essere inquinata, ecc ecc)  sono semplici, immediate, dirette, a portata di tutti , anche di quella fascia di cittadini meno scolarizzata o che ha poca dimestichezza con la nostra  lingua, ma sono norme di comportamento che per tutti devono diventare “automatiche” proprio come le tabelline o la coniugazione dei verbi. Così al prossimo terremoto, alluvione, maremoto, se indubbiamente caso e fortuna giocheranno un ruolo fondamentale sulla nostra sorte, se i criteri di costruzione della nostra abitazione, o la situazione degli gli alvei o il buon funzionamento dei sistemi di allerta faranno la differenza, un posticino lo avranno anche le allucinanti, incredibili, sconce indicazioni di buone pratiche di protezione civile, quelle scritte con linguaggio pedagogico elementare“: sì proprio quelle, così  come le poesie di natale, come i proverbi, le filastrocche sui nomi dei mesi e dei giorni, delle capitali e delle province, come i nomi dei sette re di Roma, quelle norme di comportamento ci verranno in soccorso nel momento del panico, nel momento in cui non sapremo razionalmente cosa fare, nell’attimo del “e adesso?”. E adesso, adesso mi riparo sotto un muro portante, non prendo l’ascensore, non vado in cantina, non penso a salvare l’auto, e adesso, adesso… “io non rischio”.

 

Patrizia Calzolari

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