Meno burocrazia e lo slittamento delle tasse. E’ un coro unanime quello degli imprenditori ‘eroi’, loro malgrado, del primo terremoto industriale d’Italia. Tra il 20 e il 29 maggio 2012 le scosse devastarono cinquantotto comuni dell’Emilia Romagna tra Modena, Bologna, Reggio Emilia e Ferrara, provocando oltre tredici miliardi di danni, ventisette vittime e quarantacinquemila sfollati. Due anni e mezzo dopo, sulla ricostruzione di queste aziende, che contribuivano al 2% del Pil nazionale, c’è ancora da fare. Dagli ultimi dati della Regione Emilia Romagna risultano 13mila le attività interrotte dai fenomeni sismici, appena 163 quelle ricostruite. Le testimonianze, raccolte dall’Adnkronos, fotografano questa realtà e la voglia di ripartire.
Ora i piccoli imprenditori di questa terra chiedono uno slittamento delle tasse e raccolgono la solidarietà del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che all’assemblea della Cna di Mirandola, organizzata in un capannone appena ricostruito, definì la loro una “posizione giusta” perché “chi fa uno sforzo come questo deve essere aiutato”.
Moduli da compilare, file allo sportello e soldi spesi in avvocati. La Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa calcola che la spesa complessiva per i rapporti con la pubblica amministrazione, per quattro milioni e mezzo di piccole imprese è disei euro all’ora, quarantotto euro ogni giorno lavorativo, undicimila euro all’anno.
“Dopo il sisma da me neanche si poteva rientrare – racconta Angelo Sorrentino, proprietario di una ditta di impianti elettrici a San Felice sul Panaro – l’ho rimessa ora in sicurezza, ma sto ancora aspettando di sistemarla definitivamente. Quello che chiediamo al governo è meno burocrazia”.
Tante le storie. C’è chi per ‘salvarsi’ e continuare a lavorare ha trovato ospitalità a Bologna sotto il capannone del suo diretto concorrente, ma ora vorrebbe tornare. C’è Vanni Dolini che con moglie e figlia porta avanti una piccola ditta di trasporti di carta e cartone, e che proprio non si da’ pace “perché vogliono smontare e rimontare il suo capannone e rifarlo uguale a quello che c’era”. “Quello che mi spaventa è il coperchio del fabbricato che è pesantissimo. Se poi torna il terremoto? Reggerà? – si domanda – speravo che mi facessero una struttura in ferro molto più sicura, tirandolo giù e ricostruendolo da zero. I costi sarebbero stati gli stessi”. C’è l’assicuratrice di San Felice sul Panaro che, dopo aver vissuto in un garage e in un container, mentre con fatica tentava di ricostruire, ha ricevuto anche una visita inaspettata in ufficio per un controllo su una finestra. “E’ arrivato un agente della Forestale, un signore molto gentile, che si è messo a ridere – dice la combattiva Giliana Galeotti – si è scusato, dicendo che quello che avevo riportato in fattura era regolare. Il problema era che pensavano fosse esterna, che facesse parte della ricostruzione muraria. E’, invece, un armadio a muro con vetrata. Una finestra d’arredo interno, insomma”. Adesso a spaventare l’imprenditrice sono le tasse. Una ‘ripartenza’, quella del 30 giugno 2015, che terrorizza molti. “Io sinceramente non so come fare – dice -. Mi sono indebitata per ricostruire, dove li trovo i soldi per le tasse?”.
“Le nostre imprese dopo il terremoto – dice Cesare Galavotti, imprenditore del settore biomedicale all’AdnKronos– hanno bisogno di liquidità e lo slittamento delle tasse è assolutamente prioritario perché non è possibile riuscire a riprendere con i pagamenti delle tasse già dal 30 giugno del 2015″.
Serrande abbassate, finestre sbarrate e muri devastati. Le tracce del sisma sono ancora vive a Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro. Qualcuno tenta con dei rampicanti di nascondere le crepe sulla facciata dei palazzi. La verità è che il centro di questi piccoli paesi quasi non esiste più almeno a livello commerciale.
I negozi si sono spostati tutti. A San Felice sul Panaro è nata addirittura una nuova costruzione, costata ottocentomila euro, con venti diverse attività che hanno lasciato la vecchia sede per ‘ricominciare’.
“Se penso che questo era considerato un territorio antisismico, chi l’avrebbe mai detto?”, si chiede Ivan De Stefano, proprietario di uno dei bar della nuova costruzione, aggiungendo: “c’è stato il terremoto, poi la crisi. E’ stata dura, ma ci siamo rimboccati le maniche e ora stiamo ripartendo”. Ironia della sorte un mese prima del sisma arrivò un compratore cinese con un’offerta da 180mila euro, ma la rifiutò. “Se tornasse, ora accetterei anche la metà. Magari si rifacesse vivo”, sospira De stefano.