(La serata al Teatro Tenda di Finale Emilia con il Requiem di Mozart nella corrispondenza di Francesco Mandrino)
Ieri sera, al Teatro Tenda, abbiamo assistito, confortati dall’ingresso gratuito, al concerto in occasione del terzo anniversario del sisma che ci ha colpito. Noi pubblico, meno numerosi che in altri concerti , in ogni caso non abbiamo fatto mancare la nostra partecipazione emotiva, la prova: al termine dell’esecuzione del Dies Irae di Mozart siamo rimasti impietriti e l’applauso non ha avuto il coraggio di partire.
Il programma è stato di tutto rispetto, di quelli che qualificano gli organizzatori ed assicurano quel tanto che rialza di un poco il livello culturale di una piccola Comunità ai margini dell’impero.
Adagio del Concerto per Clarinetto di W.A. Mozart, Funeral March di E. Grieg, Stabat Mater di Z. Kodaly, Requiem in Re minore W.A. Mozart, Va Pensiero dal Nabucco di G. Verdi e Hallelujah dal the Messiah di G.F. Händel.
Gli esecutori, i musicisti della Filarmonica G. Diazzi di Concordia, diretti dal maestro Marco Bergamaschi e le corali E. Pancaldi di Modena, diretta da Luca Colombini e Schola Cantorum di Bazzano, diretta da Manuela Borghi, riunite in un’unica formazione, hanno offerto un’ottima interpretazione, una menzione spetta anche alla voce solista del coro e al primo clarinetto dell’orchestra.
Il cuore pulsante del concerto, detto da un modesto ascoltatore, mi è sembrato la Marcia Funebre di E. Grieg. Il contesto è stato immediatamente chiarito dall’attacco poderoso e solenne di tutti gli elementi dell’orchestra: il tema era la morte. Stabilito ciò senza possibilità di equivoco, la musica è sembrata abbandonarsi a toni più miti, nei quali mi è parso di udire come l’eco delle melodie del Peer Gynt, dello stesso autore, dove veniva ricordata la vita, la giovane vita spezzata dell’amico di Grieg, le speranze, le promesse, in un insieme languido ed evocativo. Ma il tema rimaneva pur sempre la morte, ed il finale abbandonava la mestizia per recuperare la solennità della circostanza, mentre i tocchi del rullante inducevano al passo cadenzato del corteo funebre.
E’ vero, c’è stato anche il Requiem di Mozart, ma qui è cambiata la dimensione. Un Mozart così diverso da quello che tante volte in diverse occasioni ci è risuonato nelle orecchie. Un Mozart sempre in bilico fra la condanna roboante e perentoria degli ottoni e l’invocazione flebile e pietosa dei flauti: “confutatis maledictis … voca me cum benedictis”; e intanto io cercavo di isolare le varie tonalità delle voci, che pure percepivo, finendo inesorabilmente col perdermi nel loro intreccio. Qui l’impressione non è più quella del modesto ascoltatore bensì del modestissimo fruitore, come si fruisce di qualcosa di cui ci si nutre. Poi è stato come se il tendone del teatro si squarciasse su un panorama vasto, profondo almeno cent’anni, sullo sfondo del quale mi è parso di intravvedere l’ombra di Wagner.
L’intervento di Angelo D’Aiello, a nome dell’Amministrazione Comunale, pur se non privo di qualche accento retorico, a mio avviso ha avuto un punto luminoso, quando egli ha ricordato il senso di comunità che ha accompagnato le più difficoltose fasi successive al disastro, ed ha auspicato che tale esperienza costituisca patrimonio comune di fronte alle difficoltà che ancora ci attendono, e possa protrarsi anche oltre, così da diventare un comportamento sociale che sorga dall’intimo di ognuno. Ora a parlare è l’uomo che ha vissuto il suo tempo, il vecchio che non ha dimenticato: fa piacere sentire un giovale che restaura l’essenzialità dell’ essere comunità, dopo tanti anni di sfrenato ed egoistico io una parola spesa in favore del noi; perché se è vero che “io penso dunque io sono”, è pur vero che se vogliamo fare dobbiamo essere “noi”.
(Francesco Mandrino)