Benvenuti nell’archivio di sulpanaro.net
Qui sono disponibili tutti gli articoli pubblicati del nostro quotidiano dal 1/1/2015 al 30/6/2020
Tutti gli articoli successivi al 30/6/2020 sono disponibili direttamente sul nostro quotidiano sulpanaro.net

Le istituzioni locali? “Colpevole silenzio in questa terra dai tratti mafiosi”

da | Mar 4, 2016 | In Primo Piano, Mirandola, Finale Emilia, San Felice sul Panaro, Concordia, Cavezzo, Camposanto, San Possidonio, San Prospero, Bomporto, Bastiglia | 0 commenti

Le istituzioni locali? “Colpevole silenzio in questa terra dai tratti mafiosi”. E’ la cronaca, riportata dal Corriere della Sera, dell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia sulla presenza della criminalità organizzata in Emilia-Romagna uscita all’indomani dell’inchiesta Aemilia che rivela una quadr accusatorio pesantissimo per quanto riguarda le infiltrazioni di mafia nella Bassa e nel resto della regione. “Il profondo radicamento della consorteria mafiosa e la invasiva penetrazione del potere criminale negli apparati politici, economici e istituzionali, hanno «stravolto la reputazione di quella che, ormai una volta, era orgogliosamente indicata come – si legge sul Corriere – una Regione modello e invidiata per l’elevato livello medio di vita dei suoi abitanti». Così, silenziosamente e con la colpevole sottovalutazione delle istituzioni e del tessuto sociale troppo a lungo attestato su posizioni negazioniste, la ‘ndrangheta ha messo le mani su un territorio determinando «una trasformazione sociale, del tessuto economico e imprenditoriale, un’alterazione delle regole del gioco, dei compensi, dei prezzi, della qualità dei servizi che si è tradotta in una vera e propria aggressione dell’ordine democratico».

Chi ha avuto il potere ha negato troppo, ma soprattutto mancano le denunce da parte delle vittime, osserva la Direzione nazionale Antimafia che sentenzia come l’’Emilia- Romagna sia ormai «caratterizzata dai tratti tipici dei territori infestati dalla cultura mafiosa. Non è un caso che all’eleva to nume ro di a t t i v i t à criminali riconducibili alla ‘ndrangheta, non ne corrisponda uno altrettanto apprezzabile di denunce da parte delle vittime». Lo scrive il consigliere Cesare Sirignano nel capitolo dedicato al distretto di Bologna, una mazzata per l’immagine di una regione che si preoccupava di sbandierare i suoi anticorpi, mentre «silenzio e omertà» s’erano impadroniti della società civile. I segnali c’erano. Inchieste e sentenze avrebbero dovuto far capire da tempo che «la regione poteva definirsi terra di ‘ndrangheta da almeno un decennio».

Una presenza che ha radici lontane e una sua peculiarità. Qui, ragiona la Dna, non c’è stato un contagio da altri territori, «ma un vero inquinamento fino a condizionare le elezioni, seppure in piccoli comuni dove la presenza calabrese riesce a ottimizzare i suoi voti». Sirigliano cita Brescello come «un tangibile esempio» spiegando come la vicinanza con la cosca dei Grande Aracri abbia portato alla richiesta di scioglimento del Consiglio comunale. Considerazioni che valgono anche per Finale Emilia. Nel tempo sono cresciute anche la consapevolezza e la capacità di contrasto dei pm della Dda che, seppure in numero esiguo, annota Sirigliano, hanno aperto gli occhi a tutti svelando la capacità d’espansione della ‘ndrangheta. Una mafia che ha fatto leva sulla crisi economica e «gestito il potere attraverso una fitta rete di rappresentanti in grado di soddisfare interessi legali con più efficienza e maggiore forza competitiva».

Il clan legato alla cosca Grande Aracri di Cutro lo ha fatto con la sua forza intimidatrice, ma anche grazie «all’asservimento di aree sempre più consistenti di professionalità al potere e al raggiungimento degli scopi», la famosa zona grigia attratta nel circuito mafioso. Una mafia che non spara ma immette nel mercato legale denari di provenienza illecita determinando «uno straordinario effetto persuasivo in un contesto ancora incapace di difendersi». È la ‘ndrangheta in giacca e cravatta che può contare «sul sostegno di una parte della stampa locale, sul colpevole silenzio delle istituzioni preoccupate dalle notizie sulle presenze mafiose nei territori amministrati». Ed è grazie «allo straordinario risultato» dell’inchiesta Aemilia (147 rinviati a giudizio, 71 richieste di condanna in abbreviato) che «qualcosa, sebbene lentamente, è cambiato, come l’effetto di una medicina in un corpo gravemente malato e aggredito da una patologia diffusa».

Leggi l’articolo dalla fonte originale

Condividi su: