LETTERE PERSIANE
di Camilla Perugina
Girando in macchina per le verdissime strade della Bassa nel tardo pomeriggio di un sabato di primavera, ci si accorge d’un tratto che quelle strade in mezzo ai campi, costellati di vecchie fattorie e pioppeti sono altresì odorose. Profumate, di fiori di maggio e… griglia. Ebbene sì, l’inconfondibile fumo che proviene dai giardini lascia presagire la tipica cena del weekend di campagna, da queste parti, il “riposo del guerriero” di ogni emiliano che si rispetti: l’apoteosi del maiale, la brace.
Credo che una delle spiegazioni possibili della forte immigrazione balcanica nella Bassa sia proprio questa comunione d’intenti, la brace appunto. Che, poi, alcuni lo facciano su griglie di design ed altri nelle latte di benzina tagliate in due, il concetto non cambia. Se l’abitante della Bassa tipo si soffermasse a ragionare su questa somiglianza con l’albanese di turno, forse darebbe qualche chance in più alle proteine vegetali o, ancora meglio, proverebbe a guardare all’immigrato con meno spocchia, visto che, almeno per quanto riguarda le grigliate, una faza una raza.
Qui non si maltratta pubblicamente nessuno, ma gli amici dei figli sono “i marocchi”, gli adolescenti si scambiano freddure razziste sui compagni di classe e la maggior parte della gente, anche se i genitori venivano da lontano, dà per scontato che l’immigrato sia infido e ladro. E io mi domando come possa accadere che la tolleranza e la generosità genetica degli emiliani della Bassa possa convivere con il razzismo culturale, così come l’opera d’arte dei cappelletti in brodo sia sostituita, spesso, dalla pizza ai ‘frutti di porco’ (sic)! È come se l’emiliano fosse affetto da problemi di fiducia generalizzati verso lo straniero, e avesse seriamente bisogno di una sessione di rebirthing generazionale.
Eppure anch’io sono “straniera” e anch’io avrei delle rimostranze da fare, anche se ogni giorno mi innamoro di più di questa campagna piena di sorprese. Ad esempio, qui i croissant alla marmellata sono pochissimi e finiscono subito. E non esistono i krapfen. Quelli originali, farciti con marmellata di albicocche. Qui, solo bomboloni alla crema. E anche questo, a mio modesto avviso, ha a che vedere con una certa chiusura. Anche noi immigrati abbiamo delle cose da dire, anche se siamo venuti qui perché ci piaceva o ne avevamo bisogno. Perché, checché se ne dica, pur abitando in una regione del nord, siamo comunque i “terroni” di qualcun altro.
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