di Andrea Lodi (*)
Sono trascorsi 13 giorni dal referendum che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Improvvisamente il popolo del web si è scoperto filoeuropeista. Sono apparsi articoli, anche da nomi blasonati del giornalismo italiano, da caccia all’untore. Da calcoli statistici, di cui nessuno conosce le fonti, pare che la colpa della Brexit sia da addossare all’elettorato over fifty (categoria alla quale, ahimè, anche io faccio parte). Qualcuno ha addirittura scritto che gli “anziani” hanno rubato il futuro ai “giovani”. In un Paese “gerontocratico” come il nostro, hai voglia di parlare di giovani. Già, i giovani. Ogni tanto vengono tirati in ballo. Se ne parla. Ma mai nessuno, che ceda loro il posto. Poi quali giovani? I britannici? Pare, ma ribadisco il dubitativo, siano stati pochi i giovani che hanno votato al referendum. E gli altri? Forse non erano molto interessati all’Europa Unita.
Le conseguenze su economia e finanza
Nel frattempo è successo di tutto. Addirittura Irlanda e Scozia sarebbero decise a “lasciare” il Regno Unito, pur di rimanere legate al carro dell’Unione Europea. Un improvviso interesse verso l’Europa che suona più come un banale pretesto per portare avanti le loro istanze indipendentiste. Tra l’altro con il benestare, o per lo meno la comprensione, del resto d’Europa.
Le borse europee sono in rosso, la sterlina scende a 1,31 dollari (al suo minimo da 31 anni), le banche italiane evidenziano criticità sotto gli attacchi dei “mercati internazionali”, a cui penserà il “bail in” a risolvere (da non confondersi con il belin genovese, che è tutta un’altra cosa). Per lo meno così sostiene il Premier Matteo Renzi. Intanto la Banca d’Inghilterra esprime forti preoccupazioni in merito ai rischi della stabilità finanziaria inglese, che richiederebbe una capacità aggiuntiva di prestiti per 150 miliardi di sterline (175,5 miliardi di euro) da destinare ad imprese e famiglie. In Eurozona si paventa un rallentamento della produzione, confermato dalle stime dell’Istat sull’Italia.
Standard & Poors prevede per il Regno Unito un forte rischio recessione. Rischio paventato molto probabilmente anche dal Ministro delle finanze britannico George Osborne, che pare voglia portare l’imposizione fiscale sulle imprese sotto la soglia del 15%, al 12,5% irlandese. Per l’Eurozona gli analisti di S&P dichiarano che “la Brexit avrà indubbiamente un costo in termini di crescita per l’Eurozona a causa di un livello più basso degli scambi commerciali e degli investimenti. Per contro, la risposta della Bce rappresenterà un fattore chiave di sostegno”.
Farage & Johnson
Intanto Nigel Farage, leader indiscusso dell’Ukip, e fautore della Brexit assieme a Boris Johnson (ex sindaco di Londra e candidato alla successione di Cameron alla guida del Governo), ha annunciato a sorpresa le sue dimissioni dalla guida del partito. Notizia che pare non sia stata particolarmente apprezzata da molti suoi colleghi, che lo avrebbero accusato di vigliaccheria.
Anche Boris Johnson non se la passa tanto bene. Pare sia stato vittima di una congiura interna al suo partito che lo ha di fatto estromesso dalla corsa al premierato.
Dal punto di vista politico, gli esperti ci dicono che “le negoziazioni saranno lunghe e difficili”. Non si può fare passare il messaggio che “uscire dall’Unione sia possibile facilmente. Probabilmente le trattative dureranno almeno per i prossimi due anni”.
Che dire? God save the Queen, recita l’inno nazionale inglese, ma chi salverà il popolo britannico?
(*) Andrea Lodi, vive a San Prospero (MO), è aziendalista, specializzato in Pianificazione Strategica. Giornalista economico, da gennaio 2009 cura “Economix“, la rubrica economica di PiacenzaSera.it; da settembre 2014 collabora con SulPanaro.net.