Nidi d’infanzia, si cambia: una maggiore flessibilità organizzativa dei servizi, un sistema di accreditamento delle strutture educative più semplice, l’introduzione della obbligatorietà delle vaccinazioni contro poliomielite, difterite, tetano ed epatite B per l’iscrizione. A determinare la necessità di mettere mano a una legge del 2000, che regola il sistema regionale dei servizi educativi per la prima infanzia, alcune importanti trasformazioni quali la limitata crescita della natalità, l’aumento del tasso di disoccupazione femminile, la crescita dell’incidenza della popolazione straniera, l’incremento della povertà infantile.
Una riforma, quella che la Regione Emilia-Romagna si appresta a varare, che nasce dai territori, al termine del ‘Giro’, il tour attraverso le tante esperienze, spesso positive, dei nidi d’infanzia dell’Emilia-Romagna, compiuto dalla vicepresidente della Regione, Elisabetta Gualmini.
Questi, in sintesi, i temi al centro del convegno “I bambini dell’Emilia-Romagna: ne parliamo tutti insieme” che si tenuto oggi in Regione, nel corso del quale si sono confrontati alcuni tra i più rappresentativi soggetti pubblici e privati attivi nel campo dei servizi per la fascia di età tra 0 e 6 anni, in considerazione dei nuovi scenari demografici e sociali e dei nuovi bisogni delle famiglie.
“Le ricerche che abbiamo presentato oggi hanno confermato le ipotesi e le intuizioni che avevamo avuto come amministratori a inizio mandato – ha dichiarato la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e assessore al welfare, Elisabetta Gualmini, a margine del convegno- ci spingono ad andare avanti nella direzione già tracciata. I cambiamenti della nostra società sono stati negli ultimi anni e sono ancora radicali e il sistema dei servizi deve essere in grado di adeguarsi. Da un lato- spiega la vicepresidente– la maternità, come ci ha illustrato il prof. Dalla Zuanna, non è più una scelta “fatale e ineludibile” e aumentano le donne che volontariamente o involontariamente non hanno figli, contribuendo al calo significativo del tasso di natalità e all’invecchiamento galoppante della popolazione, cosa che richiede un completo ripensamento del sistema dei servizi di welfare. Dall’altro– prosegue Gualmini- chi sceglie di avere dei figli, e magari più di uno o più di due si trova, nel caso in cui la situazione occupazionale e reddituale non sia stabile, sempre più a rischio di scivolare nella povertà. La scelta dell’asilo nido infatti, soprattutto sotto ai due anni, continua a rimanere strettamente correlata al reddito familiare, alla presenza o meno di una madre che lavora e al titolo di studio della madre. Questo significa che occorre lavorare sulle tariffe, cercando di contenerle, e su strumenti innovativi che prevengano le condizioni di esclusione e di povertà dei minori. Ed è proprio questa– conclude- la strada che stiamo scegliendo: in primo luogo lavorare a servizi per la prima infanzia di alta qualità e quanto più possibile aperti a tutti, valorizzando quelle formule innovative che già sono in essere e che si possono ulteriormente sperimentare per andare incontro alle esigenze di tutte le giovani famiglie, in secondo luogo introdurre alcuni strumenti nuovi per il contrasto alla povertà minorile come il sostegno all’inclusione attiva e il reddito di solidarietà con l’obiettivo specifico di dare una risposta a chi vuole uscire da condizioni di marginalità”.
Una riforma, quella proposta dalla Regione Emilia-Romagna, che riguarda un sistema educativo dai numeri importanti. Sono infatti 232 mila i bambini emiliano-romagnoli tra zero e cinque anni di età registrati all’anagrafe al 1° gennaio 2016, il 5,20% della popolazione totale dell’Emilia-Romagna (4.448.146). Tra questi, nella fascia 0-3 anni, oltre 30 mila sono iscritti nelle 1.214 strutture educative (nidi, nidi aziendali, micro-nidi e sezioni primavera).
Parte da questi numeri l’analisi a 360° affidata a due ricerche condotte dalle Università di Padova e Modena, i cui risultati sono stati presentati al convegno, che riguardano, rispettivamente, la condizione socio-demografica dei bambini di età 0-5 in Italia e in Emilia-Romagna e la relazione tra domanda e offerta dei nidi per l’infanzia nella nostra regione e i fattori che influenzano la scelta dei genitori di iscrivere i propri figli ai servizi educativi. ‘Il Giro’ è anche il titolo del videoracconto sul confronto con gli amministratori locali che raccoglie alcune osservazioni risultate significative per l’elaborazione del progetto di legge.
“Sono fortemente convinto, come amministratore e come medico, dell’opportunità di rendere obbligatorie le vaccinazioni contro poliomielite, difterite, tetano ed epatite B come condizione necessaria per l’iscrizione dei bambini ai nidi d’infanzia. Si tratta– ha dichiarato l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Sergio Venturi– di una misura di tutela importantissima per i bambini che vivono in comunità, un luogo delicatissimo di incontro dei più piccoli, alcuni dei quali possono essere affetti anche da patologie croniche o immunodepressi. Sono bambini, quindi, particolarmente vulnerabili, che possono subire seri danni se dovessero venire in contatto con patologie che potrebbero essere evitate grazie ad una corretta profilassi vaccinale. In Emilia-Romagna– precisa l’assessore- l”obbligo della vaccinazione partirà entro l’autunno, ma è ovvio che i bambini non ancora vaccinati non saranno allontanati dai nidi e dalle altre strutture educative. Le famiglie avranno tempo, tutto il prossimo anno scolastico, per adeguarsi. Con questo provvedimento– spiega Venturi- abbiamo scelto di responsabilizzare le famiglie nel momento in cui decidono di affidare i loro bambini alle comunità. Voglio infine sottolineare l’importanza di intervenire sulle politiche per l’infanzia senza le quali il saldo, già oggi negativo tra anziani e giovani generazioni, non farà che acuirsi ulteriormente. Una società che non investe nei giovani sarà una società priva di creatività.”
Le ricerche
‘I bambini, le famiglie e la partecipazione ai servizi per l’infanzia’ è il titolo del lavoro prodotto nell’ambito del progetto di ricerca “Povertà e politiche sociali in Emilia-Romagna”, svolto in collaborazione tra il Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche (CAPP) dell’Università di Modena e Reggio Emilia e l’Assessorato al Welfare della Regione Emilia-Romagna.
Nella ricerca si evidenzia come l’Emilia-Romagna sia una regione caratterizzata per un elevato livello di partecipazione ai servizi per la prima infanzia (29% nel 2015), anche se con importanti differenze territoriali in termini di partecipazione ai servizi (provincia di Bologna 35%, provincia di Piacenza e Rimini 20%). Diversità dovute a: fattori legati all’offerta (presenza o meno di strutture sul territorio, flessibilità organizzativa e numero di ore di apertura dei servizi) e caratteristiche socio-economiche della domanda. Riguardo al numero degli iscritti nel periodo 2003-2015, alla luce dei cambiamenti nella composizione della popolazione di età compresa tra 0 e 3 anni, si è riscontrato un calo del numero di iscritti (-9,2% tra il 2011 e il 2015) sommato all’aumento di rinunce e ritiri nel corso dell’anno, in parte dovuto alla difficoltà delle famiglie nel sostenere il peso delle rette, a servizi che non sempre si adattano pienamente ad una società in profonda evoluzione che richiederebbe un servizio sempre più personalizzato, al tasso di disoccupazione femminile che ha subito un aumento negli anni della crisi (dal 3,9% del 2007 al 9,1% del 2015) e all’aumento in regione dei bambini stranieri in età 0-3 anni. A differenza delle famiglie italiane, infatti, i nuclei di origine straniera (fatta eccezione per alcune nazionalità), per ragioni culturali (cibo, lingua, ecc.), per motivazioni economiche o per minori problemi di conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro, mostrano una più scarsa propensione a iscrivere i loro figli presso i servizi per la prima infanzia. La ricerca individua anche i fattori che influenzano la scelta dei genitori di iscrivere i propri figli ai servizi per la prima infanzia, come: l’età della madre (se la madre ha 40 anni e oltre la probabilità di iscrivere il figlio al nido è più alta del 4% rispetto al caso in cui la madre abbia meno di 30 anni; il livello di istruzione della madre (più la madre è istruita maggiormente si avvale dei servizi). Gli aspetti che influiscono in maniera più significativa sono però le motivazioni della scelta in termini di affidamento: se i genitori sono particolarmente attenti agli aspetti socio-educativi dell’affidamento, la probabilità che questi iscrivano il figlio al nido aumenta del 47,5%; mentre se preferiscono che il figlio cresca in un contesto familiare, essa si riduce del 12.8%.
‘La condizione socio-demografica dei bambini di età 0-5 in Italia e in Emilia-Romagna: ieri, oggi e domani’ è invece il titolo della ricerca curata da Gianpiero Dalla Zuanna e Silvia Meggiolaro del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Padova. La ricerca evidenzia come in Emilia-Romagna, in poco più di una generazione, la composizione per età, nazionalità e stato civile delle madri e dei padri sia profondamente modificata. Nella nostra regione le madri giovani con meno di 25 anni sono passate dal 38% del 1979 al 10% del 2014, mentre quelle con più di 34 anni, nello stesso arco di tempo, sono passate dal 10 al 33%. Anche i padri con meno di trent’anni sono rapidamente diminuiti (dal 46 al 16%) mentre i padri ultraquarantenni sono rapidamente aumentati (dal 9 al 24%). Un secondo grande cambiamento è costituito dalla bassa fecondità italiana (ed emiliano-romagnola) legata alle modifiche del corso di vita delle donne e alla precarizzazione e segmentazione della vita lavorativa, alla quale si contrappone l’incremento di nascite di bambini con madre straniera che in Emilia- Romagna nel 2014 hanno superato il 30% delle nascite complessive (il 20% in Italia). Altro elemento riguarda le caratteristiche del sostegno offerto alle famiglie dalla rete parentale. Nell’organizzazione delle famiglie con bambini che oggi vivono in Italia e in Emilia-Romagna, continua a essere fondamentale il ruolo dei nonni. Più di metà dei genitori italiani ed emiliano-romagnoli affermano di affidare normalmente i loro figli ai nonni non conviventi, dieci volte di più rispetto a quanti affermano di fare uso ordinariamente di baby-sitter retribuite. Esiste poi il tema della povertà dei bambini. Gli italiani in condizione di povertà assoluta – ossia non in grado di far fronte a spese di base – a partire dal 2012 superano stabilmente il 5% del totale. Nel 2015 si stima che le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta siano un milione e 582 mila e gli individui siano quattro milioni e 598 mila (il numero più alto dal 2005 a oggi). In proporzione, le famiglie povere sono di più al Sud, ma nel corso dell’ultimo decennio sono raddoppiate anche al Nord. Secondo i ricercatori esiste una strettissima relazione fra povertà assoluta e numero di figli. L’8,2% delle famiglie con tre o più figli fa fatica ad arrivare a fine mese, a pagare le bollette, a far fronte alle spese ordinarie. La povertà assoluta è molto più diffusa fra le famiglie con minori che fra le famiglie con anziani.