di Lorenzo Cavazzuti
Chi di voi non scrocchia le dita? Che cosa succede al nostro corpo quando facciamo questo movimento? Fa bene o fa male? La ricerca ancora non se n’è occupata su larga scala, ma qualcosa si muove.
Nonostante decenni di ricerca, il meccanismo alla base del “cracking” articolare, deve ancora essere scientificamente validato. Fino a poco tempo si sapeva poco riguardo il processo attraverso il quale i rumori vengono emessi dalle articolazioni sottoposte a forze di distrazione. Lo studio di Kawchuk e altri ( PLoS One 10 2015 e 0119470) ha utilizzato per la prima volta una MRI (risonanza magnetica) in tempo reale, per visualizzare lo spazio delle articolazioni metacarpofalangee (MCP) mentre veniva applicata una forza di trazione lungo l’asse.
Un maschio adulto con la capacità di provocare un crack delle sue articolazioni MCP ha partecipato allo studio. Durante la distrazione,la RMI registrava immagini dell’articolazione con una frequenza di 3,2 frames al secondo. I risultati dell’autore sostengono la tribonucleazione, per cui si crede che il cracking risulti dalla formazione di una cavità, piuttosto che dalla rottura di una bolla pre-esistente. L’intensità del segnale proveniente dall’articolazione immediatamente dopo il cracking, conferma la creazione di una zona d’aria nello spazio articolare, che persiste oltre il momento di produzione del suono. Definendo l’eziologia di fondo del cracking articolare, gli autori sperano di comprendere meglio vantaggi e svantaggi terapeutici.
Insomma, a far rumore è l’aria che si sposta. Se faccia male o bene beh… ancora non si sa.