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Il Calvi di Finale Emilia in visita a San Patrignano – IL RACCONTO

da | Mar 29, 2017 | In Primo Piano, Finale Emilia, Scuola | 0 commenti

Nei mesi di febbraio e marzo le classi terze dell’Istituto Calvi, in giornate diverse, sono state in visita alla Comunità di recupero di San Patrignano, in provincia di Rimini. Da anni si ripete questo appuntamento poiché la testimonianza diretta di chi ha commesso degli errori e vuole uscirne ha una evidente efficacia negli studenti poiché hanno l’occasione di ascoltare direttamente chi ha deciso di ripensare alla propria vita e agli errori commessi. Di seguito sono raccolti alcuni pensieri tratti dai temi che gli alunni hanno realizzato nei giorni successivi alle visite.

«Quella mattina – scrive Omar – siamo partiti per le 7: i miei pensieri durante il viaggio riguardavano la musica che avrei ascoltato e la pausa in autogrill; non avevo grandi aspettative per la giornata; temevo un lunghissimo discorso sui danni della droga che mi sarei scordato il giorno seguente. Poi siamo arrivati in un posto alquanto isolato, su una collina da cui si vede il mare. Sono saliti sul nostro pullman quattro ragazzi: pensavo fossero volontari, ma si sono presentati a abbiamo scoperto che in realtà erano ospiti di San Patrignano. Ci ha colpito la loro sicurezza nel parlare, nonostante si notasse un leggero nervosismo. Non avevamo una chiara immagine di un ex tossicodipendente quindi ci lasciavamo influenzare dai luoghi comuni».

«Avevo il pregiudizio – continua Davide – di trovare persone diverse da quelle che ho trovato, magari afflitte da problemi psicologici che non fossero in grado di parlare davanti a dei ragazzi. Sono stato smentito nel momento stesso in cui hanno iniziato a parlare Alex, Natasha, Giovanni e Adriano. Appena sono sceso dalla corriera, un po’ perplesso e un po’ stupito, ho detto al prof. : “Ma sono persone normali!”».

Nel corso della visita, gli studenti hanno potuto vedere il funzionamento di molte delle attività che ogni giorno vengono svolte dai ragazzi di San Patrignano, fra cui la cantina, le stalle, la lavorazione delle pelli, la produzione di carte da parati: «Ci hanno mostrato solo una piccola parte del complesso, – continuano gli studenti – ma la nostra opinione stava già cambiando, l’impressione era che ognuno avesse il proprio compito e che fosse felice di compierlo. Erano come normali lavoratori, ma il loro stipendio era più gratificante: non si trattava di denaro ma di traguardi personali raggiunti e della crescita della speranza per un futuro migliore. Ci siamo subito pentiti dei nostri giudizi affrettati».

«Un ragazzo addetto alla produzione di carta da parati ci stava esponendo il suo compito e i suoi lavori più belli, aveva quarant’anni, era molto disponibile nei nostri confronti e sembrava fiero dei suoi prodotti, aveva un viso pulito e solare, era alto e mostrava un fisico impeccabile. Tutto ciò alimentava sempre di più i miei interrogativi sul suo passato, e le cause del suo percorso personale nella comunità nonostante mi interessasse il suo lungo e articolato discorso sulle sue carte da parati, non potevo resistere alla curiosità. Così gliel’ho chiesto. La sua espressione è cambiata radicalmente, i suoi occhi facevano intendere uno stato di sofferenza, il suo sguardo era vago, non più sicuro di sé, come se si stesse vergognando, e, tra la tensione della classe cominciò a raccontare, senza soffermarsi sui particolari, la sua storia. Quello che mi ha colpito di più non è stato il racconto in sé, d’altronde era una classica dipendenza da cocaina, ma come lo raccontava, in quelle semplici e poche parole ci ha trasmesso tutto il suo doloroso pentimento e il rimorso per il suo sbaglio».

«Il pranzo è stato servito in un salone enorme: a tavola eravamo circa 1.500 persone, fra ospiti della comunità e scolaresche in visita. Nessuno poteva iniziare a mangiare, se non dopo un momento scandito da un applauso e da un minuto di silenzio, nel corso del quale ognuno aveva l’occasione di riflettere con se stesso. I ragazzi in turno per il servizio ai tavoli ci hanno chiesto cosa avremmo voluto e ce lo hanno portato ponendosi di fronte a noi, non alle nostre spalle. Il rispetto si apprende anche da piccoli gesti come questo. Finito il pasto siamo stati accompagnati in una sala che fungeva sia da teatro che da cinema: qui un gruppo di ragazzi ci ha raccontato le proprie esperienze dirette con la droga».
«Durante l’attività mi sono reso conto dell’insicurezza di questi ragazzi: uno dei principali motivi dell’inizio della loro dipendenza era stato l’isolamento. Hanno smontato il nostro ideale di ragazzo che fa uso di droghe: un adolescente lo vede come un individuo alternativo, forse per una ricerca di attenzioni e a cui di certo non mancano gli amici; in realtà la vera tossicodipendenza è l’annullamento di ogni stimolo fisico e mentale che non sia a favore della sostanza stessa. Purtroppo fino a che non si ascoltano testimonianze di persona non si può comprendere la drammaticità della dipendenza. Ci facciamo ammaliare da questo triste mondo che è la droga, lasciandoci influenzare dalla sua esaltazione che vediamo in tanti film e abbassiamo la guardia davanti a questo pericolo che sempre più spesso fa da cornice alla nostra generazione».
«Uno dei momenti più intensi della giornata – prosegue Francesco – è stato quando abbiamo ascoltato la testimonianza di Raffaele. Il racconto è stato così diretto che durante la narrazione ascoltavo attentamente ogni singola parola e riflettevo sulle difficoltà che noi adolescenti abbiamo nel confrontarci su ciò che può essere oggetto di pregiudizi. Proprio per questo motivo si è aperto un dibattito sui giudizi delle persone e sulla libertà. Questa visita ha ricordato a tutti quanto sia importante in certi momenti fermarsi e riflettere su ciò che si sta facendo, e ci ha trasmesso molta più sicurezza in noi stessi, con la consapevolezza che una soluzione c’è sempre, anche se per trovarla c’è bisogno dell’aiuto di amici veri che ti dicano le cose come stanno. La consiglierei a tutti quanti poiché può far capire alle persone di non perdere i propri lati umani».
Un’esperienza positiva dunque, che l’Istituto è intenzionato ad offrire ai propri studenti anche nei prossimi anni. Alla Comunità e ai suoi ospiti che abbiamo avuto come guida, il nostro grazie per l’accoglienza.
A cura degli studenti delle classi terze dell’Istituto Calvi

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