L’ex Centro logistico militare di San Martino Spino è stato aperto per la prima volta al pubblico in occasione delle “Giornate Fai di Primavera”. E’ stata una delle iniziative di maggior successo, domenica scorsa, la visita alla zona demaniale di “Portovecchio”. Merito degli studenti mirandolesi che hanno fatto da Ciceroni, e della bellezza del luogo, una fetta di affascinante campagna padana dal glorioso passato. Tanti si sono chiesti “Perchè quest’area non è aperta al pubblico sempre?”, e “Perchè non si recupera?”.
La risposta la dà il Comune di Mirandola, che spiega senza troppi giri di parole che Portovecchio è destinato all’abbandono se la Sovrintendenza non toglie il vincolo che ha messo. Ecco cosa scrive il Comune di Mirandola, in una nota in cui esprime soddisfazione e ringrazia di cuore i promotori dell’iniziativa di domenica scorsa.
«Le tante presenze del fine settimana – si legge in una nota del Comune – hanno confermato il fascino e l’importanza storica di questo luogo e hanno ribadito l’importanza di recuperarlo e restituirlo alla collettività, un progetto sul quale l’Amministrazione comunale lavora da tempo».
L’area di Portovecchio si estende su una quarantina di ettari e dal 1883 al 1954 era diventato un centro per l’allevamento di cavalli dell’esercito. Successivamente era stato trasformato in centro logistico militare e poi in centro di materiale per il Genio pontieri. Negli ultimi anni, infine, era stato affidato alla Folgore che per addestramento cani specializzati nel fiutare esplosivi. Ultimamente il palazzo è stato abbandonato.
“Nel novembre del 2013, per cercare di salvare dall’abbandono l’area di “Portovecchio”, il Comune – spiegano dall’Amministrazione – aveva attivato le procedure per ottenere il trasferimento della proprietà in base al cosiddetto “Federalismo demaniale” (art. 56 bis D. L. 69/2013), che ha offerto a Comuni, Province, Regioni e Città metropolitane la possibilità di acquisire a titolo non oneroso beni immobili dello Stato presenti sul proprio territorio richiedendoli all’Agenzia del Demanio. Quest’ultima aveva dato un via libera di massima, ma occorreva anche il parere della Commissione regionale per il patrimonio culturale dell’Emilia Romagna (Soprintendenza). La risposta è arrivata con nota del maggio 2016, a firma del Segretario generale della Commissione regionale, che ha notificato al Demanio e al Comune la dichiarazione di interesse culturale (ai sensi del D. Lgs n. 42/2004) della “Villa Pico di Portovecchio ed ex Deposito Allevamento Cavalli”.
Questo vincolo complica notevolmente la possibilità di recupero. «Col “Federalismo demaniale” – prosegue la nota del Comune – si sarebbero potuti recuperare gli immobili di pregio ed anche lo storico viale alberato, mediante le risorse della ricostruzione post sisma e coi proventi della vendita di una parte dei terreni. Il progetto di valorizzazione dell’area è importante anche in relazione ai significativi cambiamenti dell’agricoltura, che richiedono immobili e strutture all’avanguardia; la possibilità di convertire una parte del patrimonio immobiliare sarebbe stata importante per proporre una reale funzionalità a tutta l’area. Il vincolo della Soprintendenza impone invece il recupero complessivo dell’intera tenuta, che risulta finanziariamente insostenibile».
Al decreto della Commissione regionale il Comune ha fatto ricorso al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, spiegando che solo col “Federalismo demaniale” si sarebbe potuto salvare un bene di indubbio pregio che versa in grave stato di abbandono. L’Amministrazione comunale ritiene che vi siano le condizioni per apporre il vincolo su alcuni fabbricati, mentre su altri si debba elaborare un’analisi di maggiore dettaglio, che evidenzi quali interventi di demolizione risultino eventualmente ammissibili e quali strumenti di possibile compensazione siano praticabili, al fine di garantire la conservazione, il recupero e la fruibilità del bene.
«La risposta del Ministero – conclude la nota del Comune – è stata negativa. Si è ribadito il vincolo della Soprintendenza, che è stato posto senza alcun incontro preliminare e senza approfondimenti sul nostro progetto. In questo modo si rischia di condannare quel sito al definitivo abbandono».