Di Antonio Turco (*)
C’era una volta l’OECE spa, semplicemente.
Nata ufficialmente come azienda nel 1962 quando avviene la registrazione del marchio “O.E.C.E.”, acronimo di Organizzazione Economica Commercio Emiliano.
Doris Nardi di Cavezzo aveva avuto l’intuizione di farsi in casa le colle viniliche e la tempera per muri, ma soprattutto la vernice, quella semplice per colorare e proteggere il legno, in un modesto garage con i bidoni di latta custoditi nel sottoscala. La “bottega” è poi cresciuta negli anni, ampliando il raggio delle proprie attività grazie ad un socio e venditore di prima grandezza: il parmigiano Giorgio G. Vernizzi che rileverà tutta l’azienda fin dall’inizio.
La svolta storica avviene all’inizio degli anni settanta, quando la produzione industriale rende le vernici “ecologiche” a basso impatto ambientale un’idea rivoluzionaria alla portata del mercato italiano, favorendone così la diffusione. Nei primi anni ottanta, poi, l’azienda inizia ad affiancare o addirittura a sostituire talune linee di vernici per legno con quelle ancora più attente alla salute degli operatori. E verso la fine di quel decennio il vulcanico e lungimirante patron di OECE, sig. Vernizzi, lancia le prime vernici per legno a base di acqua e s’impone tra le aziende più importanti del settore nella realtà italiana e non solo.
Ho conosciuto personalmente il Sig. Vernizzi, ne ho apprezzato la fine intelligenza, la grande forza e l’eccezionale umanità, il coraggio e la visione imprenditoriale. Ho sempre visto l’OECE come punto di eccellenza industriale del nostro territorio che pure vanta primati nel settore biomedicale e della meccanica. L’OECE -oggi possiamo dirlo ad alta voce- si è rivelata significativa soprattutto per tante generazioni di concittadini. Ha dato lavoro a tante famiglie dei comuni vicini, ma soprattutto a quelle cavezzesi. Posti di lavoro sicuri. Stabili. Di quelli su cui si può contare per fare programmi a lunga scadenza, umili ma onesti: una famiglia, una casa, pur con qualche sacrificio, magari un piccolo appartamento al mare o in montagna. Aspirazioni concrete, non destinate a rimanere soltanto sogni e a tramutarsi, nel tempo, in illusioni.
Nel corso degli anni lo stabilimento ha accresciuto la sua capacità produttiva, sempre con standard di qualità al top del mercato e ad elevato valore aggiunto, frutto di un centro ricerche ricco di professionalità di prim’ordine. E a questo sviluppo è corrisposto anche un incremento delle assunzioni. Negli anni d’oro, l’OECE è arrivata a contare più di 120-130 dipendenti diretti. Ecco perché è stata non soltanto una “fabbrica di vernici”, ma anche una “fabbrica di futuro”, gettando il seme di quelli che sarebbero divenuti i nuclei familiari di domani. La storia di molti di noi è legata a quell’azienda.
Tutto il resto, dallo sport con le sue “Piovre”, la grande squadra femminile di basket, alla successiva cessione dell’azienda negli anni novanta passata alla svedese AB Alfort & Croholm del gruppo Klintes, non mi interessa parlarne. La storia di cui oggi voglio riavvolgere il nastro è solo quella dell’OECE spa.
Una storia che ha vissuto un inaspettato e triste declino proprio in questi giorni.
Non del celebre marchio OECE, ma dello stabilimento prodiuttivo di Cavezzo.
Era il 2010 quando la multinazionale americana Sherwin Williams, avendo incorporato il grande gruppo industriale preesistente, acquisisce il controllo di OECE spa e vara un piano di ottimizzazione degli impianti produttivi con l’altra grande e prestigiosa azienda bolognese operante nello stesso settore, la consorella Sayerlack spa di Pianoro.
Poi è arrivato il terremoto del 20 – 29 maggio 2012 con i suoi drammi e i suoi lutti che hanno colpito direttamente anche le maestranze di OECE. E i piani sono cambiati.
Oggi a Cavezzo, al posto di quella che era l’OECE, c’è solo -e ancora per poco- un desolante gruppo di capannoni e palazzine uffici, circondato dal rispettoso silenzio di abitazioni e villette, che a breve rimarrà orfano dell’andirivieni dei lavoratori che andranno a lavorare a Pianoro. Ma mi piace pensare che, da qualche parte, all’ombra dei pochi alberi che circondano la fabbrica o del piccolo parco che lo fronteggia, siano custodite le storie che ognuna di quelle persone portava con sé. Tante piccole storie quotidiane che insieme, mattone dopo mattone, ne hanno costruita una tra le più importanti del nostro territorio.
Una storia che, personalmente, non seppellirei sotto tonnellate di nuovo cemento, chiasso e gas di scarico di orde di turisti dello shopping, come (forse) vorrebbero taluni fautori di outlet o centri commerciali e direzionali. Sarebbe troppo difficile, allora, chiudere gli occhi e provare a sentire ancora quell’odore pungente di vernice, talvolta pure un po’ fastidioso, avvolgere il paese di Cavezzo. Come una volta.
C’era una volta l’OECE, semplicemente. Una storia che merita di essere mantenuta viva, almeno nel ricordo. L’unica cosa che nessuna multinazionale né ruspa potrà mai demolire.
(*) Antonio Turco, residente a Cavezzo, Revisore Legale dei Conti, già giornalista pubblicista, lavora a Bologna dove è Tesoriere del Consorzio Cooperativo Finanziario per lo Sviluppo s. c. (Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue)