Alcuni, i più piccoli, sono allo loro prima esperienza in Italia. Altri più grandi azzardano frasi in italiano e comprendono la nostra lingua. Maxim in particolare ringrazia: “E’ la terza volta che vengo in Italia, mi piace molto qua, ci divertiamo tanto…” Sono i “bambini di Chernobyl”, provenienti dalle aree contaminate della Bielorussia e dell’Ucraina accolti oggi in Assemblea legislativa per una giornata di riflessione per fare il punto sui progetti di accoglienza e prevenzione sanitaria attivati in Emilia-Romagna a seguito dell’epocale incidente alla centrale nucleare di 31 anni fa. Un’accoglienza che, come è stato sottolineato dai rappresentanti delle associazioni, in tutta Italia nacque dal basso, per volontà dei cittadini che aprirono le porte delle loro case e tuttora continuano a farlo tenendo rapporti con le realtà locali. Come accade regolarmente, da tanti anni, anche in Emilia-Romagna, grazie ad una rete di famiglie e associazioni solidali. “La Regione Emilia-Romagna conferma il proprio impegno di solidarietà e di affetto”- ha detto la consigliera regionale Barbara Lori accogliendo, su delega della Presidente dell’Assemblea legislativa Simonetta Saliera, una delegazione composta da circa un centinaio di bambini assieme ai loro accompagnatori e dai rappresentanti di famiglie e associazioni-. Sono circa 500 i bambini ospitati anche quest’anno grazie ad una rete di volontari attivi in regione. “A partire da questo incontro- riprende Lori- ci sembra utile avviare una riflessione sulle azioni svolte in campo sociale e sanitario con il Progetto Chernobyl. L’obiettivo è quello di valorizzare il contributo di tante realtà che si sono impegnate in questi anni. Abbiamo un background di esperienze che rappresentano un patrimonio importante in questa regione- ha precisato Lori-. Vogliamo rafforzare questa rete e poter portare questa ricchezza anche all’interno del dibattito nazionale che si sta sviluppando a seguito della nuova legge sulla cooperazione decentrata. Con la sua capacità di accoglienza e di attivazione di risorse e competenze, l’Emilia-Romagna potrà essere da esempio per tanti”. “I bambini di Chernobyl ci ricordano ogni anno quanto sia importante il valore dell’amicizia e della fratellanza tra popoli- ha detto, nel corso dell’incontro, la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e assessore al welfare, Elisabetta Gualmini-. L’Emilia Romagna, dal 2001 in avanti, ha curato quasi 1.600 cittadini stranieri gravi tra cui moltissimi bambini, garantendo uno stanziamento di 1,5 milioni di euro all’anno. E’ una delle regioni che fa di più per curare patologie gravi (come tumori, cardiopatie, nefrologie e altro), e che mette a completa disposizione il proprio sistema sanitario. Continueremo con questo impegno -ha concluso- e soprattutto continueremo a lavorare con le associazioni e le oltre 700 famiglie che generosamente ospitano i bambini di Chernobyl, che si aprono allo scambio e al dialogo e spingono le istituzioni a stare sempre all’erta”.Fabrizio Pacifici (Fondazione Aiutiamoli a Vivere), in rappresentanza delle organizzazioni di solidarietà e volontariato rivolte ai bambini delle aree colpite dal disastro nucleare di Chernobyl, ha ricordato il ruolo determinante di queste realtà. Un movimento che ancora oggi– ha spiegato– riesce a determinare l’ospitalità in tutta Italia ogni anno di circa 15 mila, tra bambini e accompagnatori. Il nostro Paese– ha detto– detiene il primato per numero di famiglie che negli anni si sono rese disponibili per l’accoglienza dei bambini di Chernobyl. All’incontro era presente anche la consigliera Francesca Marchetti. Il progetto Chernobyl Sono oltre 11.660 i bambini accolti in Emilia-Romagna grazie al “Progetto regionale Chernobyl”. Un programma avviato dalla Regione assieme alle associazioni firmatarie nel 1996 – in seguito all’incidente alla centrale nucleare avvenuta nel nord dell’Ucraina il 26 aprile del 1986 – per promuovere l’accoglienza temporanea e il sostegno sanitario di bambini bielorussi e ucraini che vivono in zone ad alta radioattività. L’intesa, formulata nell’ambito delle politiche regionali di cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale sanitaria, prevede soggiorni temporanei di bambini sotto i 14 anni provenienti dalle zone contaminate, nelle quali gli effetti dell’incidente nucleare pesano ancora su chi vi abita: i bambini che lì nascono e risiedono, infatti, nell’età dello sviluppo sono più esposti al rischio di gravi malattie, spesso tumorali. E, nella maggioranza dei casi, il miglioramento della salute ottenuto grazie a periodi trascorsi lontano da casa in ambienti più salutari è dimostrato: le analisi comprovano un abbattimento della concentrazione di cesio 137 dal 30 all’80 per cento. Il picco delle presenze si è registrato negli anni 2003 (1.347 bambini), 2004 (1.215) e 2005 (1.123), mentre successivamente il numero si è progressivamente ridotto, fino ai 228 del 2016. Questi dati tengono conto solo dei piccoli accolti dalle famiglie firmatarie del “Progetto regionale Chernobyl”, quindi il numero complessivo è ancora più alto. Nelle settimane in cui sono ospitati presso le famiglie emiliano-romagnole o in strutture collettive, grazie al programma predisposto dall’Assessorato regionale alle Politiche per la salute, i bambini vengono iscritti al Servizio sanitario regionale e sottoposti a tutti gli accertamenti impossibili da eseguire nel proprio Paese di provenienza; le spese di accoglienza sono a carico delle associazioni regionali di solidarietà. Il progetto Chernobyl prevede, inoltre, che contestualmente all’accoglienza dei minori si realizzino anche interventi di cooperazione nelle loro zone di provenienza, soprattutto in Bielorussia, dove Legambiente Emilia-Romagna porta avanti il Progetto “Rugiada”, cofinanziato dalla Regione con la collaborazione di Arpae regionale, Ausl di Modena, Policlinico di Modena e Università di Bologna. Si tratta di una casa vacanza posta in una zona decontaminata, dove per alcune settimane i bambini vengono ospitati e sottoposti a controlli sanitari.
Solidarietà, i bambini di Chernobyl in visita in Regione
Condividi su: