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Cestino addosso alla professoressa, il sindacato: “Non c’è qui il peggio della scuola italiana”

da | Nov 4, 2017 | Mirandola, Scuola | 0 commenti

Cestino addosso alla professoressa, il sindacato: “Non c’è qui il peggio della scuola italiana”. Ecco l’intervento di Claudio Riso, segretario sindacato scuola Flc/Cgil Modena

Sorprende che nel giro di pochissime settimane vicende diverse accadute dentro le scuole modenesi tengano banco sulla stampa locale e nazionale e su quella locale, con tanto di commenti ed editoriali firmati da opinionisti di fama nazionale e trasmissioni dedicate in ogni fascia oraria.
Sorprende perché sembra quasi che qui si sia concentrato tutto il peggio della scuola italiana: classi dove i bambini italiani sarebbero isolati e discriminati, aule nelle quali violenza e anarchia sarebbero all’ordine del giorno, risse e droga nei corridoi, presidi bollati come “omertosi”, mentre in un’altra occasione si era parlato di “ubriacatura” dei dirigenti , e poi ancora “sfascio sella scuola”, “rassegnazione degli insegnanti”…
Insomma, una narrazione perfetta per mettere sotto accusa l’intero sistema della scuola.
Ma la narrazione spesso è solo un modo di presentare la realtà. Che è evidentemente molto più complessa.
I fatti, veri e incontestabili, sono quelli raccontati in questi giorni, simili purtroppo ad altri che tante volte si sono ripetuti nel tempo, ma oggi forse più frequenti, gravi e veicolati dall’uso (improprio) dei social e risultato di situazioni complesse di disagio e sofferenza che si vanno via via moltiplicando.
Con le complessità di quel disagio e di quella sofferenza la scuola si confronta quotidianamente.
Sono aumentati esponenzialmente gli studenti con segnalazioni per BES o DSA, la composizione delle classi rispecchia la complessità del tessuto sociale. Alla scelta delle superiori ci si arriva spesso con percorsi di orientamento non sempre efficaci e alcune scuole rischiano di essere scelte solo per ripiego e non con una reale consapevolezza.
E la scuola, che con queste differenze e con queste complessità deve farci i conti quotidianamente, è una scuola in qualche modo spogliata del proprio ruolo: le risorse, umane ed economiche, per affrontare situazioni di disagio sono sempre di meno.
È triste consuetudine che ogni nuovo governo imponga alla scuola la propria idea e il proprio modello di istruzione e si inventino ciclicamente riforme che, al di là del merito specifico, degli apprezzamenti o meno, mutano, confondono, snaturano il ruolo della scuola e degli insegnanti e rendono la scuola una cavia sulla quale fare sperimentazione.
Al punto che oggi chi insegna è quasi più un impiegato della filiera della formazione, che non un operatore della conoscenza.
Una figura alla quale si chiede di stendere verbali, relazioni, somministrare test improbabili (le prove Invalsi), competere con i propri colleghi per ottenere, forse, due spiccioli di uno scellerato bonus premiale a fine anno e, nei ritagli di tempo, formare i nostri ragazzi.
Insegnanti che spesso sono condannati ad anni di precariato prima di poter essere immessi in ruolo, con sistemi di reclutamento che cambiano come cambiano le stagioni.
È evidente che qualcosa non va: se ci sono delle responsabilità non vanno ricercate tutte e soltanto nella scuola. Bisogna guardare oltre, bisogna guardare a chi ha permesso che tutto ciò avvenisse, a chi ha sostituito l’inclusione con la competizione, il sapere finalizzato alla crescita personale con quello finalizzato all’occupabilità, le competenze con le performance.
Si è determinato così lo snaturamento e l’isolamento della scuola: il discredito che si getta quotidianamente su questa istituzione rischia di frustrare e demotivare chi, tra mille difficoltà, tiene in piedi il sistema scolastico.
È l’opposto di ciò che servirebbe: sostegno, risorse, investimenti, fiducia e attenzione.

Infine, un’ultima riflessione sul ruolo delle famiglie, da più parti richiamato – giustamente- dopo i fatti di questi giorni.
È un ruolo fondamentale, ma che fa i conti con una serie di cambiamenti importanti di questi anni: gli studenti che oggi sono nelle nostre aule sono figli di famiglie che hanno attraversato e vissuto (e forse vivono ancora) gli anni della crisi.
Figli di genitori che delegano alla scuola un eccessivo ruolo educativo, magari perché impegnati in attività lavorative che tengono impegnati mattine, pomeriggi, sere o interi fine settimana. A cosa si riduce il ruolo della famiglia se lo si può esercitare e praticare solo nei ritagli di tempo rimasti liberi dalle incombenze lavorative?
Le intemperanze, gli atti di violenza o di bullismo devono essere perseguiti con ogni mezzo e senza tentennamenti.
Attenzione però a utilizzare situazioni gravi e difficili per gettare discredito gratuito sulla scuola e sul lavoro degli insegnanti, a metterne sistematicamente in discussione capacità, competenze, professionalità: si rischia di far passare una realtà che non è, di pensare che l’unica via sia lo smantellamento.
E lo smantellamento della scuola, e della scuola pubblica nello specifico, corrisponderebbe allo smantellamento della società.

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