SAN FELICE SUL PANARO – L’esterno è ormai completato, c’è da lavorare ancora molto all’interno ma ormai ci siamo: la chiesa di Rivara a sette anni dal terremoto è vicina alla riapertura. La data di apertura, salvo sorprese, è il 29 giugno.
Oltre ai danni causati dal terremoto del 2012, si è dovuti intervenire, su altri, più recenti causati da un camion che alla rotonda perse il suo carico.
Secondo le valutazioni dei tecnici, la chiesa di Rivara potrebbe essere pronta già quest’estate. I fedeli potranno così lasciare la tensostruttura in cui si sono riuniti in questi anni.
Scrive l’architetto Davide Calanca:
Ricordo quando ho cominciato a lavorare dentro l’edificio, facendo il funambolo a 11 metri d’altezza per poter rilevare la chiesa e presentare a tempo di record il progetto. Pochi avrebbero fatto quello che ho fatto, il pericolo è stato grande e il tempo poco.
Era il 27 luglio 2012.
Progetto presentato in dicembre, istruttoria durata più di due anni, preliminare, esecutivo, due integrazioni. Poi i primi due anni di cantiere, sospesi per l’istruttoria del secondo stralcio funzionale e altre due integrazioni. Ora variante finale appena autorizzata.
Sette anni, 3.500 ore di lavoro personale, un centinaio di tavole grafiche prodotte, migliaia di pagine di progetto e altrettante fotografie, un libro col Gruppo Studi Bassa Modenese e forse un altro in arrivo a fine lavori.
Il tutto moltiplicato per i progetti sui nostri beni culturali comunali che nel tempo mi sono stati affidati, per meriti o tramite concorso, e che procedono senza il clamore dei leoni da tastiera, ma coi titoli di due università alle spalle, tanto precariato e qualche sassolino finalmente tolto dalle suole delle scarpe.
Moltissime persone coinvolte, dalla Diocesi alla Parrocchia, dalla Soprintendenza all’impresa affidataria, dall’Amministrazione comunale ai restauratori, dai miei colleghi progettisti ai volontari dei quali ultimi avrò modo di fornire compiutamente i nomi e dei quali bisognerebbe fare un monumento alla memoria.
Uno sforzo immane pari soltanto a quello della sua costruzione 410 anni fa, pagato coi soldi di tutti, cui spero, nelle limitatezze economiche e nel rispetto delle ordinanze, si potrà avere modo di apprezzare, nonostante non si è potuto lavorare su tutto.
Vorrei tanto che si comprendesse quanto lavoro, quanti momenti di sconforto hanno accompagnato tutto questo, quante soddisfazioni per le scoperte e per gli sguardi e i ringraziamenti che ultimamente i rivaresi mi rivolgono, cominciando a intravedere la luce in fondo al cantiere.Manca poco.
Sono stanchissimo, ma vado avanti per finire, anche se contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la remunerazione percepita per tutto questo sarà quella di 3 caffè al giorno. Vorrei davvero che si comprendesse che oltre che essere un onore, questo cantiere è una missione. In gioco ci sono cose più grandi e intangibili della routine quotidiana e delle aspirazioni terrene. Ci sono la Fede, le speranze, un luogo cui ritrovare il trascendente e al tempo stesso la felicità di stare insieme. Un enorme sacrificio che ho compiuto con gioia, da minuscolo peccatore credente, e che forse mi regalerà qualcosa nell’aldilà.
Ma il mestiere dell’architetto vale ogni goccia di sudore, ogni sforzo, ogni sconforto, ogni aspro confronto coi colleghi o con chi ha la pretesa di saperne di più, se dopo sette anni un anziano rivarese, questo pomeriggio, ti guarda con gli occhi lucidi e ti dice che non vede l’ora di rientrare. Gli occhi poi diventano lucidi anche per chi ascolta e per un attimo tutto si fa leggero e sereno.Per ora sono contento del poco che ho fatto per la mia terra e per i miei compaesani, poi sarà il momento delle critiche che accetterò come sempre, per crescere ancora un po’ e per poter un giorno insegnare qualcosa a qualcuno capace di ascoltare.