di Andrea Lodi
Secondo un’indagine realizzata da Confindustria, su dati raccolti da Istat e Unioncamere, nel triennio 2019 – 2021, nel settore ICT si stima una offerta di lavoro che supererà le 45.000 unità.
Addirittura, secondo le stime elaborate nell’”Osservatorio delle competenze digitali” – studio condotto da Aica (Associazione Italiana per l’Informatica ed il Calcolo Automatico), Assinform (Associazione Italiana per l’Information Technology), Assintel (Associazione Italiana Imprese ICT) e Assinter Italia (Associazione delle Società Pubbliche ICT per l’Innovazione nella PA) e promosso dal MIUR e da Agid (Agenzia per l’Italia Digitale) – nel triennio 2019 – 2021 il settore ICT avrà un fabbisogno di non meno di 62.000 nuovi assunti, con una visione più ottimistica che dovrebbe raggiungere addirittura le 90.000 unità. Praticamente il doppio delle stime prudenziali di Confindustria.
Si tratta di posizioni professionali altamente specialistiche che le aziende faticano a trovare nel mercato del lavoro. I pochi giovani italiani che escono da percorsi di studi specializzati si trasferiscono all’estero, richiamati da imprese altamente competitive che li contattano ancora prima della conclusione degli studi.
Le imprese italiane negli ultimi tre anni hanno aumentato del 10% la spesa in R&S.
Da una ricerca denominata “Navigator: Made for the Future” si evince che le aziende sono fortemente interessate ad investire in tecnologie innovative, con particolare attenzione alla robotica ed all’Internet of Things. Ma non solo: l’intenzione è anche quella di dare priorità ad investimenti riguardanti il miglioramento delle competenze nelle proprie organizzazioni aziendali.
Secondo l’ANPAL (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro), le imprese italiane, negli ultimi anni, hanno aumentato le ore di formazione sui propri dipendenti, manager inclusi, considerando la formazione un asset strategico per affrontare le sfide del futuro. Ciò non risolverà il fabbisogno di competenze altamente specialistiche, ma è un importante segnale di adeguamento del personale alle nuove esigenze organizzative.
Le posizioni maggiormente richieste dalle aziende italiane nel settore ICT sono:
- sviluppatori (49,1%),
- consulenti ICT (16,3%),
- analisti di sistema (7,5%),
- specialisti in digital media (6,1%),
il restante 21% si divide tra Big Data Specialist, Machine Learning, Cybersecurity, IoT Developer, Blockchain Developer e AI Specialist.
Ottimi anche gli stipendi. Ben superiori alle medie italiane. Secondo Wyser, società internazionale di Gi Group specializzata nella ricerca e selezione di profili manageriali, la retribuzione annua lorda (RAL) per figure di medio livello nel settore ICT va dai 35.000 ai 100.000 euro, a seconda della mansione ricoperta.
Gli stipendi nell’ICT, in linea di massima, si aggirano sulle seguenti cifre lorde:
- Mobile Developer: 35.000 – 45.000 euro
- IoT Developer: 35.000 – 45.000 euro;
- Penetration Tester: 35.000 – 50.000 euro;
- Blockchain Developer: 40.000 – 50.000 euro;
- Full-stack Developer: 40.000 – 50.000 euro;
- Data Scientist: 40.000 – 55.000 euro;
- Big Data Engineer: 40.000 – 55.000 euro;
- DevOps Engineer: 40.000 – 55.000 euro;
- Solution Architect: 55.000 – 75.000 euro;
- Cloud Architect: 65.000 – 70.000 euro;
- Chief Technical Officer: 80.000 -100.000 euro.
Occorre sperare che Università e Scuole tecniche si diano una mossa, altrimenti nelle nostre imprese troveremo informatici provenienti da Paesi che investono fortemente nelle professioni del futuro, India e Cina in primis.
Non che ciò rappresenti un problema. In un mondo altamente globalizzato dovrebbe essere normale. Il problema è fare in modo che domanda e offerta di lavoro si incontrino.