Quello che alle aziende (non) dicono
Nell’ultimo capitolo di Quello che alle aziende (non) dicono, che si riassumeva con la fotografia secondo la quale se la nostra presenza online non è funzionale a Google e Facebook, non c’è presenza, siamo arrivati ad un punto; questo: “Nella storia della tecnologia non c’è niente con il grado e la velocità di evoluzione del web”.
E noi? Qual è il nostro grado di evoluzione come titolari di attività? E qual è quello di chi si occupa di “web setting”?
Questo è lo scenario più importante di ciò che stiamo indagando. Che l’asticella tecnologica infatti sia ogni giorno più in alto e che se non si è funzionali alle logiche degli algoritmi che governano il web (Google e Facebook), il web non ci considera, lo abbiamo assodato in precedenza, quindi ora è a noi che rimane la palla.
Cosa fare per la nostra attività, come farlo, con chi farlo?
Cosa fare, è ciò che chi ha un’attività ha l’onere di dover sapere.
Come farlo e con chi farlo, viene in successione e lì è necessario il supporto di terzi.
Come abbiamo già detto nei precedenti capitoli, il 40% delle attività è ancora offline e il 70% di quelle online lo sono in un modo non corretto, pertanto come se non ci fossero. Seguendo la successione degli oneri di cui sopra, da parte di chi ha un’attività, l’origine della causa di una mancanza (grave) come l’assenza dell’attività sullo strumento da cui dipendono le sorti commerciali della stessa, è quindi ahinoi chi la guida.
A seguire tutto il resto.
Magari è scomodo, ma è la realtà: di chi altro può essere la colpa se fuori dal “negozio” non c’è l’insegna?
L’origine quindi è certa, l’evoluzione del problema è poi ampiamente sostenuta dal come farla questa insegna e infine dal con chi farla.
Ciò che abbiamo visto in merito a queste due fasi è estremamente semplice e in linea con l’origine di tutto. Ovvero:
– come farla, si cerca guardandoci intorno magari in famiglia, tra gli amici e tra gli amici degli amici;
– con chi farla, se non proviene dallo stesso bacino di cui sopra, è qualcuno al quale ci si è rivolti e che dovrebbe avere un’identità professionale specifica vista la complessità della materia di cui si parla, ma non avendo chi guida l’attività alcuna cognizione dello scenario generale nel quale si sta muovendo, non ha alcuno strumento a disposizione per discernere quello che gli verrà proposto di fare e perché. Pertanto, anche nel migliore dei casi, è difficile che il risultato sia poi efficace, non essendo frutto di due parti, ma di una sola.
Se un familiare avesse bisogno di cure specifiche, cercheremmo un medico o qualcuno “esperto” in famiglia?
E, se andassimo a visita da qualcuno, ci accerteremmo della presenza da parte del medico della specializzazione che ci serve, e magari anche delle sue capacità?
Non c’è chissà quale astrusa complessità in tutto quello che sta accadendo. C’è – da una parte – un’evoluzione delle dinamiche commerciali mostruosa e che si evolve più veloce della luce, ma si tratta pur sempre di dinamiche commerciali; e dall’altra parte, a quanto dichiarano i numeri, il famoso 80% di chi ha un’attività che non ha cercato un medico per curare la salute della stessa, bensì un familiare, un amico, ecc., perché sappiamo che sa fare le iniezioni, oppure abbiamo cercato un medico di cui però non ci siamo preoccupati di conoscere la specializzazione e/o la preparazione, ma solo un prezzo basso per la prestazione.
Mentre l’80% delle attività si muove in questo modo, il 18-20% ringrazia.
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