Il 26 gennaio si avvicina e con esso lo showdown di una competizione che ha assunto caratteri che vanno ben oltre i confini regionali, sfociando in una vera e propria “prova del nove” per ambo i principali contendenti, Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni: il sovranismo certificherà la sua inarrestabile ascesa strappando alla sinistra una delle due regioni ultra-rosse, oppure troverà qui il suo inattraversabile Piave?
La valenza regional-nazionale di questa contesa politica si vedono anche nella magnitudo che ha assunto in tutto il paese il fenomeno delle sardine, nate quasi per caso il 14 Novembre in Piazza Maggiore a Bologna ma poi diffusesi in tutta Italia come principale baluardo contro il salvinismo galoppante.
Se dovessimo fare un confronto tra queste elezioni e le scorse nazionali del 2018 non potremmo che avere l’impressione che sono passate ere geologiche, tanto la situazione è cambiata. Il principale avversario della sinistra dell’epoca, il M5S, è ridotto ad una pallida ombra di se stesso mentre la Lega, che era sì in ascesa, è oggi una forza fondamentalmente nuova (anche dal punto di vista formale), nazionale e dirompente nel suo messaggio diretto e talvolta brutale.
La differenza è evidente anche per come la campagna elettorale è stata condotta: stavolta Bonaccini, il governatore uscente ha (prevedibilmente) basato la sua campagna sul raccontare la sua esperienza di governo e i risultati raggiunti ( tuttavia senza dimenticare una notevole cura della sua immagine fisica, tanto da farla diventare un logo) mentre Lucia Borgonzoni ha preferito rimanere nell’ombra del suo leader Matteo Salvini, che ha condotto la sua consolidata campagna itinerante nella regione, completa di corredo di felpe e cappellini puntualmente geolocalizzati, mischiando con disinvoltura e spregiudicatezza tematiche locali, nazionali, politiche e giudiziarie.
Anche le tematiche usate dalla destra sono state radicalmente diverse da quelle della sinistra, preferendo ai temi programmatici quelli più mediatici degli scandali di Bibbiano e di “veleno”, usati come clave (cit.) per arrivare direttamente alla pancia di un elettorato forse più desideroso di scardinare un sistema di potere di lunghissima durata che realmente deluso su qualche tema ben definito e circoscritto.
Il MoVimento 5 Stelle, grande “non pervenuto” in questa battaglia così carica di significati secondari, affronta questo appuntamento con rassegnazione, correndo non alleato con il centro sinistra dopo la pessima figura in Umbria, con forse il desiderio puramente scientifico di vedere quanto del suo precedente 13.3% di voti abbia resistito alle delusioni generate dalla difficile e duplice esperienza di governo nazionale. Forse il suo dato, di cui non si parla letteralmente mai, sarà quello che il giorno dopo l’elezione farà più discutere, dando un quadro non proprio roseo a pochi passi dai cosiddetti “stati generali” del moVimento che dovrebbero ridefinire non solo l’azione politica ma anche il peso della leadership di Luigi di Maio.
Come la si voglia vedere, in conclusione, queste elezioni regional-nazionali hanno già avuto e avranno dopo il loro esito una fortissima influenza a livello nazionale, a testimonianza che Bologna non è centrale in Italia solo dal punto di vista commerciale e ferroviario, ma anche ideologico.