di Andrea Lodi
Sono giorni difficili, di sacrifici, soprattutto da parte del personale sanitario che si è visto costretto ad affrontare un nemico, dal nome di Covid19, che purtroppo non corrisponde ad uno dei tanti taxi parcheggiati nei pressi della Stazione Termini di Roma. Covid19 è un nemico pericoloso, che il nostro personale sanitario sta affrontando senza avere gli strumenti necessari, non dico per sconfiggerlo, ma semplicemente per difendersi. I Paesi a capitalismo avanzato, quelli che avrebbero dovuto prevedere le conseguenze sociali e sanitarie di un “problema” che sembra non essere mai stato preso in seria considerazione, lo hanno semplicemente sottovalutato, addirittura snobbato. Le principali testate giornalistiche sono letteralmente invase da una miriade di ipotesi sulle conseguenze che l’emergenza sanitaria avrà sull’economia.
Tra le tante “teorie”, mi hanno particolarmente colpito le conclusioni di due capisaldi dell’economia: Paul Romer, Nobel per l’economia nel 2018 e Alan M. Garber, medico ed economista della Harvard University. “Purtroppo le politiche che i governi hanno adottato per affrontare la pandemia e la crisi economica sono contraddittorie e rischiano un fallimento catastrofico a lungo termine – affermano i due economisti – e d’altro canto il distanziamento sociale è una misura d’emergenza che mette al riparo la vita ma blocca l’attività economica”.
E’ possibile salvaguardare il nostro stile di vita?
Secondo i due economisti, infatti, occorre predisporre una serie di azioni da realizzarsi nel brevissimo periodo che armonizzino la possibilità di continuare le attività produttive e commerciali con l’avanzare del contagio. La parola magica è “protezione”. Occorre in poche parole investire in modo massiccio nella realizzazione e diffusione di nuovi strumenti di protezione, a salvaguardia del personale sanitario in primis e quindi dell’intera popolazione, per permettere alle persone di continuare a svolgere le proprie attività, contrastando nel contempo la diffusione del virus. Ma non solo, mi permetto di aggiungere, occorre anche predisporre un sistema sanitario “straordinario” (o di emergenza) parallelo a quello “ordinario”, adeguato a dare sostegno alle persone che necessitano di cure particolari in caso di pandemie.
In termini imprenditoriali questo tipo di approccio prenderebbe il nome di “vision”, ovvero la capacità di prevedere scenari futuri e quindi investire sulle probabilità che questi eventi futuri si realizzino. In genere questo tipo di approccio, in ambito imprenditoriale, fa la differenza tra le imprese di successo e quelle che “tirano a campare”.
“Se vogliamo salvaguardare il nostro stile di vita – continuano i due economisti – dobbiamo passare entro un paio di mesi a un approccio mirato che limiti la diffusione del virus ma permetta comunque alla maggior parte delle persone di tornare al lavoro e alle loro attività quotidiane”.
Secondo i due esperti non possiamo pensare che l’unica strategia possibile possa essere rappresentata dall’attesa del tanto sperato vaccino, che richiede tempi troppo lunghi per la sua realizzazione: “non possiamo permetterci di aspettare e sperare – continuano – John Maynard Keynes notoriamente ha scherzato sul fatto che alla lunga siamo tutti morti. Se manteniamo la nostra attuale strategia di soppressione basata sulla distanza sociale indiscriminata per 12-18 mesi, la maggior parte di noi sarà ancora viva. È la nostra economia che sarà morta”.
Le conclusioni a cui sono giunti i due economisti sono a mio avviso ineccepibili. Ma non credo, considerando i paradigmi che sono alla base del nostro sistema economico, che tali strategie possano essere realizzate in tempi brevi. Sono da prendere in debita considerazione per il futuro, questo è certo.
Non solo protezione ma cambiamento
Un aspetto trascurato dai due economisti, ma d’altronde sono americani, è che oltre sui sistemi protettivi, occorre investire in un cambiamento dei nostri stili di vita. Nessuno pretende cambiamenti radicali, ma rendersi conto che le nostre fragilità provengono in gran parte dal fatto che abbiamo troppo abusato del concetto di benessere. Siamo andati oltre. Occorre rivedere priorità, modelli, regole e governance.
David Grossman, affermato scrittore israeliano, è convinto che “quando l’emergenza sarà finita, l’umanità ne uscirà migliore perché consapevole della sua fragilità e della caducità della vita”. La sintesi del suo pensiero si può tradurre nell’opportunità che avremo di interrogarci sugli effetti distorti della società del benessere.
La finanza prima di tutto
Allo stato attuale occorre pensare innanzitutto ad una strategia di “riequilibrio”, al fine di permettere ad imprese e società di riprendere il cammino interrotto. Purtroppo si tratta di mera finanza. Non si comprende perché, ad esempio, in queste settimane non siano state interrotte le operazioni di borsa. Le borse finanziarie dovrebbero essere chiuse per qualche settimana, al fine di evitare operazioni speculative tanto care, lo comprendo, a molti operatori finanziari. D’altronde è bastata una “sclerata”, fatemi passare il termine, da parte di una Lagarde qualunque, che oltre sessanta di miliardi di capitalizzazione se ne sono volati via come foglie al vento.
Fortunatamente, dopo la gaffe della Lagarde, la BCE ha predisposto un consistente piano di acquisto di titoli pubblici e privati, in deroga alla “capital key”.
Il MES
Un aspetto che non si riesce a comprendere, riguarda le misure finanziarie predisposte a livello europeo, per salvaguardare gli Stati in difficoltà. Mi riferisco in particolare al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), meglio conosciuto come “Fondo salva-stati”.
Concordano con il ricorso al fondo il Commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, la presidente della Commissione Ue, Ursula von den Leyen, nonché l’attuale Governo presieduto da Giuseppe Conte.
Il problema è rappresentato da alcuni esponenti di alcuni partiti politici italiani, sia di maggioranza che di opposizione, che nella ormai consolidata incomprensibile abitudine disfattista, si stanno opponendo all’utilizzo del MES. Le motivazioni degli scettici al ricorso al MES sono rappresentate dalle regole stringenti a cui devono attenersi i Paesi che ne fanno ricorso. Regole che, per un Paese fortemente indebitato come il nostro, porterebbe a forti rischi di speculazioni su ipotesi di default.
Il MES, in realtà, è uno strumento molto più versatile di quanto si possa immaginare. Esiste infatti la possibilità di attivare la “Precautionary Conditioned Credit Line” (PCCL)”; si tratta di prestiti che possono essere concessi in tempi rapidi a paesi membri colpiti da shock improvvisi non dipendenti dalla loro volontà (o responsabilità) al fine di evitare che la situazione di crisi peggiori. Il problema è che comunque per poter accedere a questa linea di prestiti occorre impegnarsi in riforme strutturali. Cosa che l’Italia non è in grado di fare. Ma una possibilità di farne ricorso esiste. L’Italia potrebbe ritirare il suo veto all’approvazione del nuovo trattato sul MES chiedendo in cambio due cose: la prima che l’ambito di intervento del MES possa prevedere emergenze paragonabili alle catastrofi naturali, la seconda che le regole sulla eligibility per l’accesso alle linee di credito del MES vengano sospese.
D’altronde se da una parte l’Ue approva la sospensione del Patto di stabilità e crescita e dall’altra mantiene invece vivi praticamente gli stessi criteri per l’accesso ai crediti del MES, si creerebbe una forte contraddizione, che non gioverebbe a nessuno.
In conclusione
In definitiva gli strumenti e le risorse per gestire al meglio le nostre economie, e di conseguenza le nostre società, ci sono. Si tratta di utilizzarle al meglio, con spirito collaborativo, cosa che si fa fatica a trovare all’interno dei singoli Paesi, non solo quelli appartenenti all’Unione Europea, e rivedere le regole che stanno alla base dell’economia. Finché riteniamo che l’unica regola sia la massimizzazione del profitto, non c’è da farsi tante illusioni. Yuval Noah Harari, storico israeliano, in una intervista rilasciata alla CNN, segnalatami da un amico, a proposito del Covid19 avrebbe affermato: “ciò che mi spaventa davvero è la mancanza di leadership e cooperazione … la diffusione dell’epidemia in ogni singolo Paese minaccia il mondo intero … l’umanità ha bisogno di serrare i ranghi, unirsi contro i virus”. Che non significa chiudersi, isolarsi, ma per l’appunto creare un sistema condiviso che permetta ad un pianeta fortemente globalizzato di combattere la stessa guerra. Perché di guerra si tratta.