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Effetti secondari del Covid-19: le “cicatrici”emotive della pandemia – L’INTERVISTA

da | Mag 30, 2020 | In Primo Piano, Mirandola, Concordia, Cavezzo, In primo piano, In primo piano | 0 commenti

MODENA-  Il Governo, negli ultimi mesi, ci ha informato costantemente sulle misure preventive da adottare contro l’avanzamento del Covid-19. Le conseguenze psicologiche dell’epidemia su emozioni e comportamenti, al contrario, sono state poco discusse e sviscerate. Per capire quanto l’isolamento sociale, la reclusione in casa e il peso dell’incertezza abbiano influito sui legami sociali, abbiamo intervistato  Loris Vezzali,  docente di psicologia sociale all’università di Modena e Reggio Emilia.

Professor Vezzali, l’emergenza Covid-19 ha comportato una rivoluzione nella nostra quotidianità: dalle relazioni al lavoro, dallo studio alle norme sociali. Quali sono stati gli effetti, secondo lei, sull’interazione e sui legami sociali?

Gli effetti sono stati chiaramente profondi, dato che le limitazioni decise dalle istituzioni erano precisamente volte a ridurre i contatti sociali per evitare la propagazione del virus. Probabilmente, gli effetti sono stati molti differenziati a seconda dell’età e della condizione sociale delle persone. Ad esempio, alcuni hanno continuato a recarsi sul luogo di lavoro, incontrando in alcuni casi i colleghi. Gli adulti sono rimasti in contatto con la propria cerchia sociale tramite telefono e nuove tecnologie (soprattutto, quelli più pratici con questi strumenti). Certo, la drastica e immediata riduzione di rapporti faccia a faccia con amici e affetti ha sicuramente portato a un senso di isolamento e spaesamento e vediamo infatti in questi giorni, con la progressiva riapertura, come molti si siano “lanciati” a incontrare gli altri, anche a scapito delle norme di sicurezza. Ma con ogni probabilità, chi ha sofferto maggiormente della situazione sono stati i bambini, particolarmente quelli delle scuole primarie, che avendo meno familiarità con le nuove tecnologie hanno vissuto un isolamento pronunciato. L’impatto potrebbe essere stato minore nei bambini più piccoli, dai tre ai cinque anni, in quanto in questa fascia d’età il genitore è ancora una figura dominante e di primario e quasi unico riferimento per il bambino

Una delle cose più destrutturanti è stata la lontananza fisica: dall’isolamento totale, alla fase “niente abbracci e manteniamo il distanziamento”. Quanto influisce una privazione di questo tipo sul nostro benessere psicofisico?

Influisce moltissimo. Anzitutto, siamo “animali sociali”, abbiamo bisogno degli altri tanto quanto di bere e mangiare e il distanziamento va dunque ad agire su questo nostro bisogno primario. Inoltre, culturalmente siamo un popolo per cui il contatto fisico è importante. La condizione di incertezza sul termine dell’emergenza non ha di certo aiutato. E’ dunque evidente che, in alcuni, possono esserci state ripercussioni sul benessere psicofisico. Ma come accennavo prima, nel mondo moderno la possibilità di essere comunque connessi in qualche modo agli altri ha sicuramente attenuato notevolmente i disagi.

In questi ultimi mesi c’è chi si è trovato a dover gestire il peso della solitudine e chi al contrario quello di una massiccia convivenza. Due scenari molto diversi che hanno comunque innescato, in certi casi, un forte disagio emotivo.

Certamente, il paradosso è che la vicinanza forzata può a sua volta aver creato in alcuni situazioni di disagio. Non siamo abituati a convivere 24 ore al giorno anche con le persone a noi più vicine. Questo naturalmente si somma alla necessità di isolamento sociale al di fuori dell’ambiente familiare, che per contrasto va a rendere ancora più saliente la convivenza forzata e i suoi problemi (ma anche i vantaggi!). Bisogna comunque considerare la composizione del nucleo familiare. Ad esempio, i genitori di bambini piccoli, per loro natura vivaci e attivi, possono aver avuto notevoli difficoltà a gestirli tutti i giorni tutto il giorno, che unito a tutto il resto può facilmente aver generato situazioni di stress, soprattutto nei momenti in cui potevano/dovevano lavorare (in smart working). Ma c’è anche chi può aver beneficiato di questo. Per i bambini, è stata un’opportunità unica di stare con la propria famiglia per un tempo così continuo e prolungato (anche se qui diventa cruciale l’abilità dei genitori di variare le attività e mantenere i bambini attivi, cosa non certo facile in queste condizioni). Inoltre, fratelli e sorelle possono aver notevolmente alleviato il senso di solitudine, particolarmente nei più piccoli, riducendo così il possibile disagio di molti di essi.

Abbiamo assistito a episodi di razzismo e psicosi da Coronavirus, soprattutto contro la comunità cinese. Come e perché scattano questi impulsi?

Come per moltissime altre questioni sociali, abbiamo bisogno di individuare il colpevole. Vi sono anche teorie psicologiche “storiche” secondo cui le frustrazioni si sfogano sul bersaglio sociale più immediato e…debole. Questo ci consente di avere la percezione di mantenere un certo controllo su una situazione incerta, indefinita e pericolosa. Ma se trovi il “colpevole”, sai automaticamente cosa fare per risolverla. Quando si è capito che i cinesi non c’entravano nulla, si è passato ad altro e molte sono oggi le teorie complottiste che con molta fantasia a creatività provano a individuare il colpevole. Questa strategia ci aiuta inoltre a scaricare le colpe: “se è colpa di altri (ad esempio, i cinesi), allora non dipende da me”. Il problema è che in questo caso dipende assolutamente da noi e da quanto adottiamo comportamenti responsabili. Ricorrere dunque al colpevole, chiunque sia, può ridurre la probabilità di adottare comportamenti responsabili, mettendo tutti a rischio.

C’è chi ritiene questa “fase 2” emotivamente più complicata della precedente. Il ritorno alla normalità può rivelarsi destabilizzante tanto quanto la quarantena?

Non credo che a livello personale possa essere più destabilizzante. Ora si torna gradualmente alla “normalità”, dunque dovrebbe aumentare l’ottimismo e il benessere percepito. Vedo piuttosto rischi nelle fasi successive, se le cose non dovessero andare come previsto. Tornare a limitazioni, dopo aver riassaporato la “libertà”, sebbene eventualmente necessario, potrebbe essere vissuto in maniera molto negativa da molti, con conseguenze potenziali su stress e benessere molto pronunciate. Una volta che siamo usciti da una situazione difficile, pensare di tornare daccapo render la situazione molto più incerta, così come diventa difficile intravvedere una via di uscita. E quello che le persone non sopportano e che influenza pesantemente il benessere è proprio l’incertezza. Per questo molti si aggrappano alla speranza di un vaccino, che “chiuderebbe” la situazione per il meglio.

 

 

 

 

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