Il racconto è tratto da Il Giornale della Protezione Civile, il testo è del volontario Gian Carlo Plessi. Lo ripubblichiamo volentieri, a nove mesi e spiccioli dalla rottura di quel tratto di argine del Secchia che rimarrà uno dei momenti più drammaticamente importanti del nostro 2014. Eccolo:
Era dalla mattina di domenica 19 gennaio 2014, che per noi volontari della protezione civile di Bastiglia, non vi era riposo. Si dormiva a turni di alcune ore per notte, nella tenda blu a fianco di un grosso gruppo elettrogeno che illuminava il campo predisposto da noi e dai Vigili del Fuoco. Comunque bastava sdraiarsi alcune ore per recuperare un po’. La mattina stessa, sembrava una delle tante, una di quelle dove i bambini al loro risveglio vengono a letto con mamma e papà. Fu in quel momento che ricevetti il messaggio della protezione civile, che richiedeva disponibilità immediata di tutti i volontari. Seppi al telefono che le acque del fiume Secchia minacciavano il nostro comune per cui misi immediatamente in pratica quello che il manuale dice cioè “portare tutto ai piani alti e sostarvi” .
Non era chiaro quanta acqua e in quanto tempo sarebbe arrivata a Bastiglia, perciò dovetti scegliere cosa portare su, le cose più care, i ricordi di famiglia, e le più utili, una cernita di cose sull’istante, scelte veloci a cui non siamo abituati.
Così feci, e riempii anche diversi secchi di legna, pensando che il calore e la luce del camino potessero servire a mia moglie e i due bambini (Marco 10 ed Elena 7 anni) per trascorrere la notte in modo migliore. Il frigo era abbastanza pieno, non vi era problemi per i pasti, anche le candele non mancavano al nostro appello. Non ero certo della quantità di acqua che sarebbe arrivata, ero certo però il primo piano della nostra casa indipendente era il luogo più sicuro, rispetto al trovarsi in giro in macchina, tra l’esasperazione e l’ansia delle persone che tentavano di evacuare.
Non sapevo nemmeno quando, a che ora, l’acqua avrebbe invaso il nostro cortile. Gli istanti passavano velocemente, scambiai uno sguardo con mia moglie , lei mi disse: ” Da,i vai che ti aspettano…”, come per dire: “al resto ci penso io….”
Sapevo che non era del tutto d’accordo che io li lasciassi, ma la coscienza mi diceva che questa volta era il nostro comune ad avere bisogno, per cui senza esitazione ho indossato la divisa, riempito lo zaino, e come è successo con il terremoto del maggio 2012, sono uscito senza sapere dopo quanto tempo sarei rientrato a casa.
Valutando nella notte che le cose sarebbero andate per le lunghe, organizzai il loro recupero e quello di mia madre la mattina di lunedì 20, con un gommone trainato da una moto d’acqua per contrastare la corrente. La mia famiglia fu poi accolta in un centro sfollati a Carpi (ex scuole elementari, ricavate da prefabbricati, usati durante il terremoto) assieme a tante altre persone di Bastiglia. I colleghi della protezione civile di Carpi si presero cura di loro cercando di fargli riacquistare un po’ di serenità, mandando addirittura i bambini presso la scuola primaria M. Saltini lì a fianco, per fargli perdere meno giorni di scuola.
La mattina di lunedì 20 all’appello del nostro gruppo di protezione civile eravamo rimasti in cinque, gli altri, dopo l’ondata di piena, avevano cercato rifugio ed erano bloccati in case altrui, altri avevano ritenuto più giusto non lasciare sole le proprie famiglie. Come col terremoto, si era ripetuta la condizione di difficoltà nello svolgere le nostre mansioni di soccorritori: il sapere che le nostre famiglie vivevano una condizione di pericolo e disagio ci faceva operare con uno stato d’animo particolarmente turbato. Da quella mattina nonostante le difficoltà, demmo precedenza alla consegna di medicinali salvavita e al recupero di persone in difficoltà, cardiopatici, diabetici o con altri problemi degenerativi. In ordine di priorità a seguire, la consegna latte in polvere, viveri, candele, e il recupero di tutti coloro che cambiando idea avevano deciso di lasciare le proprie case per luoghi più sicuri. Da quell’istante tante cose, comprese le comunicazioni tra chi era rimasto bloccato e il nostro centro operativo dipendevano dall’autonomia delle batterie dei telefoni cellulari, alcuni dei quali fuori uso nell’immediata giornata del 20. Io stesso feci da ponte per molti, che conoscendomi, approfittavano della mia posizione sia per domande sullo stato delle cose che per richieste di viveri e/o il loro recupero. Martedì 21 gennaio, durante le operazioni di sgombero delle persone che erano rimaste bloccate a Bastiglia causa l’inondazione delle acque del fiume secchia, rividi i colleghi del gruppo FIAS Sommozzatori Protezione Civile di Parma. Avevo conosciuto la squadra di sommozzatori la sera di domenica 19, in occasione del recupero, da un abitazione situata nei pressi del ponte del “Cavo Argine”, di alcune persone tra le quali una donna incinta. Fu in quel momento che il nostro COC (Centro Operativo Comunale) ci comunicò al telefono di spostarci in un luogo sicuro. La situazione infatti era degenerata parecchio, eravamo al buio, e sentivamo il rumore scrosciante dell’acqua che il canale Naviglio ributtava indietro perché saturo, la corrente era aumentata in maniera impressionante e il livello stava raggiungendo quello della strada rialzata su cui ci trovavamo. In lontananza già si intravedeva l’acqua che stava tracimando dal ” Cavo Minutara”. Tutto intorno a noi era acqua solo acqua. Poco prima io e Giuseppe (un componente della mia squadra) avevamo soccorso alcune persone bloccate in un’auto che non riusciva a procedere perchè raggiunta dell’acqua. Inizialmente tentammo il loro recupero con l’ausilio di un trattore agricolo, ma il livello dell’acqua si stava alzando non si intravedevano più i bordi stradali per cui si rischiava il ribaltamento. Decidemmo sull’istante di entrare in acqua vestiti e raggiungerli a piedi per prestargli aiuto. La mattina di martedì 21, quindi, i colleghi del FIAS Sommozzatori mi chiedono se sono disposto ad accompagnarli per consegnare il pasto ad una persona anziana e recuperare un invalido. Senza esitare accetto. Partiamo con un Defender Rover che traina una barca a fondo piatto in alluminio, e percorrendo la strada canaletto (SS12) in direzione Modena fino sotto la rottura dell’argine svoltiamo a sinistra per Albareto (frazione di Modena). Da quel momento la strada si intravvedeva a fatica perche sormontata dall’acqua che correva verso Bastiglia. Con estrema cautela, battendo il ciglio dei due fossi con i remi della barca, riusciamo a raggiungere Albareto, dove incontro un collega del centro unificato di Marzaglia che si rende disponibile ad accompagnarci col suo mezzo per verificare la praticabilità della strada in direzione Bastiglia e, nel caso, ad aiutarci a mettere giù la barca per proseguire nel tentativo del recupero. Non esitiamo a cambiare mezzo visto che il nostro, assieme alla barca, risultava più ingombrante nelle manovre. Fiancheggiando il fiume naviglio ci accorgiamo che l’asfalto era stato rimosso e frantumato in tanti pezzi quadrati di dimensioni di un metro per un metro che si sormontavano tra di loro, fortunatamente però il mezzo in dotazione (Pajero 4×4) riusciva a scavalcare la pavimentazione sconnessa. Finalmente, nei pressi di Bastiglia riusciamo ad effettuare la consegna di acqua e viveri per la persona anziana, poco più avanti, indossati alti gambali di gomma, preleviamo la persona invalida e la carichiamo su una Jeep dell’esercito che era al nostro seguito. Proseguendo ancora un po’ raggiungiamo Bastiglia. Un’arginatura di sacchi alta poco più di un metro, ben fatta, permetteva l’arrivo dei mezzi fino a quel punto (via Attiraglio angolo via del Riccio) esattamente sul ponte dove il canale Naviglio veniva tombato. In quel punto era particolarmente intenso, ad alcune decine di metri sopra le nostre teste, il rumore degli elicotteri , che procedevano al recupero delle persone solo con l’utilizzo del verricello. Riesco a contarne fino a quattro, due dei vigili del fuoco, uno della polizia, e uno di Ricerca e Soccorso dell’ Aeronautica militare. Concretizzo quindi che era possibile evacuare persone non più solo con barche e gommoni, ma anche con mezzi: avviso quindi il COC di Bastiglia sulla nostra posizione e comincio a organizzare i trasporti delle persone, che intanto cominciavano a venire verso di me con sportine piene di roba, bagnandosi i piedi e le gambe. Aiutandoli a salire, afferrandoli da sotto le braccia, sentivo il loro freddo.
Cominciò così il primo viaggio carico di persone, e per velocizzare i tempi, provvedemmo a fare arrivare un Pulman in località Albareto. Da quel momento io comincio a registrare su fogli di carta di fortuna, i nomi delle persone, dei nuclei famigliari e i loro indirizzi, per poi comunicarli al 115 (perché era al 115 dei Vigili del Fuoco che queste persone avevano richiesto aiuto), confermando l’esito positivo del recupero. Il fine era quello di evitare un secondo intervento da parte loro. Da quel momento riuscimmo a mettere in piedi un presidio composto da ambulanza della Croce rossa, seguito da diversi mezzi di piccola taglia come jeep dei VVFF, Corpo forestale dello Stato ed Esercito, i quali facevano ininterrottamente la spola tra Bastiglia ed Albareto. Riuscimmo anche a consegnare verso sera una cinquantina di pasti a persone che risiedevano in quella zona che ne avevano fatto richiesta. Quella sera teminò con un tramonto bellissimo, nonostante la drammaticità dell’evento e la notizia della perdita di un caro amico, Giuseppe Oberdan Salvioli, dato per disperso dalla sera di domenica, e, proprio in quel luogo, era ancora visibile il gommone che l’aveva tragicamente tradito. Più tardi viene organizzato il mio recupero con un mezzo anfibio dei Vigili del Fuoco, saluto gli amici sommozzatori del FIAS Parma, anche loro pronti al rientro.
Nel buio della notte stemprato dal lampeggiante di colore blu del mezzo su cui mi trovavo, vidi casa mia. Era tutta allagata, con un metro d’acqua tutto intorno, tante delle cose che vedevo rovesciate erano legate a ricordi, anche affettivi, ma oramai non ci si poteva fare più nulla. Non so perché, mi infastidì in modo particolare quella zucca gialla che galleggiava davanti la porta di casa.
Vedevo in lontananza i fari posizionati nell’area di recupero persone, in prossimità della zona “la Torre” di Bastiglia dove avevamo allestuito il primo campo logistico con le nostre tende. La zona si avvicinava lentamente. Arrivato in tenda, sulla mia branda, tirai fuori dalle tasche i fogli (oggi a me tanto cari) e decisi di riguardare il numero di persone che eravamo riusciti a mettere in salvo. Da un intervento organizzato per due persone eravamo riusciti a portarne in salvo centoquarantasei .
Oggi mi ritrovo ad aver perso il piano terra di due appartamenti, un negozio e due auto (la mia e quella di mia moglie), ma è forte in me il ricordo di quel momento. Tutte quelle persone, che vedendoci arrivare, ci accoglievano a braccia aperte, alcune piangendo, trasmettevano a noi forti emozioni e in particolare i bambini, alcuni dei quali in classe con mio figlio, guardandomi perplessi mi chiedevano: “ma sei il papà di Marco?” Per sdrammatizzare io gli proponevo: volete fare un giro in elicottero o un giro sulla Jeep ? Ma loro, stanchi, ne avevano viste abbastanza in quei giorni, non avevano voglia di altre emozioni per cui optavano tutti per la Jeep. Quella Jeep che li portava al sicuro, la stessa che vedere andar via mi riempiva di gioia il cuore, dando un senso a tutto quello che stavamo facendo. I giorni seguenti risultavano poco a poco migliori. Si cominciarono a vedere altri componenti del nostro gruppo, usciti dalle case, coi mezzi di soccorso. Il calo dei livelli ci permetteva di lavorare con minor difficoltà. Nella giornata di giovedì pomeriggio, i livelli in calo consentivano ad alcune famiglie di Viale Marconi il rientro nelle proprie abitazioni e l’inizio della conta dei danni. Giovedì sera fui invitato dai colleghi di Carpi a dormire presso la struttura per sfollati, e lì rividi la mia famiglia, i miei bambini e feci finalmente una calda doccia.
Oggi mi sento orgoglioso di aver lavorato assieme a tutti coloro che hanno collaborato nella gestione dell’emergenza, soprattutto i volontari del mio gruppo, vicini tra noi nei momenti più duri e aver misurato in campo la professionalità di tutti. Venerdì cominciai anch’io a fare la lista dei danni, grazie ad amici, colleghi e parenti nel giro di alcuni giorni sono riuscito a dare una riordinata a casa per rientrare con la famiglia al piano superiore il sabato mattina. Una serie di altre piene minacciavano il nostro paese e quello di Bomporto per cui fu necessario il nostro reintegro in Protezione Civile per monitorare direttamente dagli argini l’evoluzione delle cose.
testo di Gian Carlo Plessi – Gruppo Comunale Volontari Protezione Civile di Bastiglia (Modena)
Tratto da Il Giornale della Protezione Civile
Nota: questo è il racconto integrale di Gian Carlo Plessi, volontario di protezione civile che ha partecipato ed è stato fra i vincitori del contest “Parole volontarie” con il racconto “2 per 146 – Alluvione Bastiglia”