Shanhaz Begum morì lapidata a Novi di Modena nel 2010, a mano del marito e dal figlio “mentre difendeva la libertà delle scelte individuali e il diritto alla pari dignità tra uomo e donna nel matrimonio e nella società. Per questo è importante far sentire la presenza dello Stato in questo processo agli assassini della coraggiosa Shanhaz Begum, e per questo a nome dell’avvocatura dello Stato chiedo la conferma della condanna per i due imputati”.
Così l’avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana ha concluso, davanti alla Prima sezione penale della Cassazione, la sua arringa di parte civile nel processo contro Butt Amhad Khan che sta scontando l’ergastolo, e Butt Umair Amhad condannato a venti anni di reclusione, rispettivamente marito e figlio della donna pakistana uccisa a pietrate a Novi di Modena il 3 ottobre del 2010 e lasciata agonizzante nel cortile di casa.
A scatenare la decisione di uccidere la donna che aveva intenzione di divorziare dal marito – riporta il Resto del Carlino – era stata la sua protesta per sottrarre la figlia Nosheen di 20 anni alle nozze combinate in Pakistan con un anziano parente, un uomo che la ragazza non voleva e che non aveva mai nemmeno visto.
La Presidenza del Consiglio, su sollecitazione del Ministero delle pari opportunità allora guidato da Mara Carfagna, aveva deciso di costituirsi parte civile nel processo fin dall’inizio, insieme alla Regione Emilia-Romagna e alla Acmid (Associazione della comunità marocchina delle donne in Italia), una onlus a sostegno dell’integrazione delle donne immigrate presieduta dall’ex deputata del Pdl Souad Sbai, giornalista.
Confermata, dalla Cassazione, la condanna all’ergastolo per Butt Amhad Khan, il marito: respinta, dunque, la richiesta di concedere all’imputato uno sconto di pena con la concessione di aver agito seguendo i dettami della sua cultura che recepisce come una provocazione la ‘ribellione’ alle scelte del capofamiglia.
Processo da rifare, invece, per il figlio della donna uccisa: i giudici hanno accolto la richiesta di far valutare nuovamente, dalla corte di appello di Bologna, la possibilita’ di concedere una pena più mite a Butt Umair Amhad, che era stato condannato a venti anni di reclusione per aver ridotto quasi in fin di vita la sorella “ribelle” Nosheen. Gli potrebbe essere concessa l’attenuante di aver agito sotto il condizionamento paterno. Mentre il padre colpiva con le pietre la madre, Umair separava Nosheen dalla donna e la picchiava selvaggiamente con un bastone di metallo.