Il procuratore capo di Modena Vito Zincani ha precisato come non siano emerse responsabilità per il crollo della Haemotronic, azienda biomedicale di Medolla il cui capannone collassò a causa del terremoto il 29 maggio 2012 provocando 4 vittime.
La sede – spiega l’Ansa – sarebbe stata costruita rispettando le norme vigenti all’epoca, coerenti con una zona ritenuta a basso rischio sismico. Anche il ritorno degli operai nel capannone dopo la prima forte scossa del 20 maggio non avrebbe fatto emergere colpe.
“Siamo molto perplessi sulla possibilità di un rinvio a giudizio”, spiega Zinacani su Modena Today, impegnato nell’esame di un’imponente mole di documentazione prodotta in questi lunghi mesi di indagini, sottolineando poi come il caso della Haemotronic sia caratterizzato da una “complessità tecnico-giuridica” fuori dal comune. Nessun elemento lampante dunque, che abbia permesso di rilevare con chiarezza una qualsivoglia responsabilità penale in merito alla costruzione materiale del capannone di Medolla o alla gestione di quanto avvenuto tra le due scosse sismiche. Da qui la decisione della Procura di Modena ad intraprendere una linea estremamente prudente.
Proprio i metodi costruttivi sono stati al centro dell’inchiesta, la quale era chiamata a stabilire – sintetizzando grossolanamente – se per caso la struttura fosse stata costruita secondo criteri contrari alla legge. Ma come noto, la totalità dei capannoni crollati durante il sisma rispettava le normative edilizie vigenti all’epoca dei fatti, a fronte di un territorio la cui classificazione sismica non prevedeva regole speciali. Poi fu la calamità a smentire la burocrazia.
Le indagini sono perciò scivolate verso un terreno molto scosceso, che da un lato ha riguardato i criteri di buona costruzione e dall’altro l’opportunità di riavviare l’attività in una struttura, dichiarata perfettamente agibile a seguito della prima scossa del 20 maggio. In particolare, suggerisce Zincani di fronte alle prassi edilizie riconosciute legittime, stabilire un rinvio a giudizio significherebbe “mettere sotto processo il modo di costruire di una certa epoca”.
In nessuno di questi campi sono balzati all’occhio evidenti tracce di responsabilità, fatto che pare consigliare alla Procura una rapida archiviazione del caso, così come avvenuto per la quasi totalità delle strutture danneggiate nella bassa in quella tragica primavera di due anni fa”.
E, come ricorda Il Resto del Carlino, “Si attende infine l’esito dell’indagine, condotta dal pm Luca Guerzoni, relativa al crollo della Meta di San Felice.
Già chiesta l’archiviazione, infine, anche per gli altri capannoni crollati, come la Manifattura di Novi e il mobilificio di Cavezzo. Furono 11 gli operai morti quel maledetto 29 maggio”