Da una parte “coltivare la bellezza, puntare sempre a costruire cose grandi nella propria vita”, dall’altra “dire no ad ogni sopruso e a ogni forma di illegalità, anche la più piccola, fosse anche uno scontrino non emesso”: sono questi i due “antidoti” migliori all’
Parola di Marco Mescolini, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Bologna e magistrato che ha condotto l’inchiesta Aemilia, questa mattina ospite dell’Assemblea legislativa regionale per un dialogo con gli studenti nell’ambito di ‘conCittadini’, il percorso di cittadinanza attiva dell’Assemblea legislativa, insieme alla presidente dell’Assemblea, Simonetta Saliera, a Elia Minari diCortocircuito, associazione studentesca antimafia di Reggio Emilia, e a Stefano Versari, direttoredell’Ufficio scolastico regionale. Tra le scuole presenti, gli istituti Rosa Luxemburg di Bologna, John Maynard Keynes di Castel Maggiore (Bo), Gaetano Salvemini di Casalecchio di Reno (Bo), Galileo Galilei di Mirandola (Mo), l’Istituto superiore di Maranello (Mo), Primo Levi di Vignola (Mo), Enrico Fermi di Modena, Silvio D’Arzo di Montecchio (Re) e Matilde di Canossa di Reggio Emilia.
“È importante ragionare sulle contraddizioni che il nostro mondo vive, le mafie sono cambiate ed è fondamentale che ragazzi giovani, come quelli di conCittadini, abbiano gli strumenti per ragionare oltre i luoghi comuni- spiega in apertura la presidente dell’Assemblea legislativa, Saliera-. Sono sempre stata convinta che il nostro tessuto fosse capace di resistere alle infiltrazioni, invece le mafie hanno dimostrato per l’ennesima volta di sapersi adattare ovunque”. Per questo motivo, ribadisce, “vorremmo che i ragazzi capissero che la realtà che vediamo nasconde altro, che per contrastare le mafie serve una curiosità sana per l’ambiente che ci circonda, servono cittadini attivi, interessati a ciò che succede nei luoghi dove vivono”. D’altronde, sottolinea Saliera, “alle mafie basta poco per infiltrarsi nella società e nella politica, soprattutto nelle realtà locali più piccole dove l’elezione di un consigliere comunale è questione di decine o poche centinaia di voti”. Ecco perché “riutilizzare i beni confiscati, e l’Emilia-Romagna è la regione del nord Italia dove più le mafie sono state colpite sotto questo punto di vista- conclude la presidente- è il modo più chiaro per dire alle mafie: ‘Qui non si passa’”.
Al procuratore Mescolini gli studenti hanno rivolto numerose domande. A Sara, dell’istituto Levi di Vignola, che chiede come è avvenuto il radicamento delle mafie al Nord, e a Micol,dell’istituto Keynes di Bologna, che vuole capire il perché di così poche denunce, il magistrato ha risposto senza giri di parole: “Più la mafia è potente, meno se ne parla, è fisiologico quindi non accorgersi di infiltrazioni, e la maggiore difficoltà per contrastarle è l’idea diffusa, a volte anche in buona fede, che la mafia non ci riguardi, e la tendenza, di conseguenza, a sottovalutare tanti segnali. Viceversa- avverte Mescolini- una fattura non emessa o gonfiata può essere ed è mafia anche se non lo sembra, abbiamo avuto un caso di recente a Sassuolo”. D’altra parte, ribadisce il sostituto procuratore, “le mafie si adattano al tipo di criminalità del luogo dove si insediano, e qui in Emilia-Romagna prevale il riciclaggio, oggettivamente facile in un territorio dove la vivacità economica è grandissima e difficilmente qualcuno nota una pizzeria in più o in meno”.
A Giulia dell’Itc Rosa Luxemburg di Bologna, curiosa di sapere se il magistrato “abbia mai perso la fiducia nella possibilità di svolgere il suo lavoro”, Mescolini non ha voluto lasciare dubbi: “C’è bisogno di positività e di allargarla a quante più persone possibile intorno a sé; non mi viene in mente una attività antimafia migliore, e poi questa terra- rivendica- ha in sé una tradizione più forte di qualsiasi male possa essere emerso da indagini, la nostra società non è omertosa, e lo dico non da magistrato ma da cittadino emiliano-romagnolo”. A tale proposito, il magistrato ha raccontato un aneddoto: “L’operazione Aemilia all’inizio si chiamava ‘Abisso’, ma mi sono personalmente opposto a questa scelta, perché al contrario dell’immagine che si voleva richiamare, e che evoca qualcosa tanto senza fine quanto capace di attrarre e trascinare a sé, l’indagine da subito ha mostrato evidenti elementi di resistenza sana”.
Un pericolo molto grave, ha concluso il magistrato sollecitato da più ragazzi sul tema, è la retorica: in ugual misura, sottolinea, “quella narrazione ‘fantasy’ della mafia, sullo stile del Padrino, che crea un immaginario collettivo sbagliato” e “quella retorica antimafia troppo semplicistica, che si basa sulla posizione umanamente facile di schierarsi contro chi spara e uccide, mi infastidiscono perché non rappresentano affatto la realtà”.
A colpire i giovani di conCittadini anche l’esperienza di un loro quasi coetaneo come Elia Minari e dell’associazione Cortocircuito: “Siamo nati per poter fare le domande a cui da soli non sapevamo darci risposta- ha spiegato Minari- e sinceramente non avremmo mai pensato di trovarci di fronte alla situazione che poi abbiamo scoperto, ed è stato indubbiamente doloroso”. Il primo embrione di Cortocircuito è nato “chiedendomi perché le feste di istituto del mio liceo avvenissero in una discoteca dove secondo la Prefettura venivano ospitate riunioni di una cosca: non ho potuto accettare la risposta che la scelta fosse dovuta semplicemente al fatto che fosse il locale più famoso della zona, e poco importava chi ne fossero i proprietari”.
A Salvatore, del D’Arzo di Montecchio, a Lorenzo del Salvemini di Bologna, a Federico del Fermi di Modena, dubbiosi su come un ragazzo del liceo possa attivamente contrastare la criminalità organizzata, Minari ha assicurato: “Ogni giorno con le nostre scelte possiamo impegnarci per la legalità, scegliendo di evitare qualunque attività criminale, anche quella che riteniamo più innocua”.