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Imprese e società

da | Mar 30, 2016 | Editoriale | 0 commenti

di Andrea Lodi (*)

 

Il modello economico emiliano-romagnolo

Anni fa un collega della prestigiosa University of Oxford, di passaggio da Modena, mentre ci sorbivamo un ottimo caffè in un bar del centro, iniziò un discorso molto interessante, probabilmente ispirato dall’incontro che giorni prima aveva avuto a Venezia con Enzo Rullani, sulla “meraviglia”, così si espresse, del modello economico emiliano-romagnolo.

In particolare lo sorprendeva il fatto che una delle maggiori economie del pianeta, doveva la sua forza ad una miriade di piccole e medie imprese. Lo sorprese soprattutto il numero, più del 90% delle nostre imprese sono di piccole dimensioni.

Quindi elogiava il sistema che era in grado di tenere insieme tutte queste realtà: un vero e proprio marchio d’eccellenza del “saper fare in Italia” non solo nei settori tradizionali rivolti al “consumo” (moda, design e cibo, tanto per intenderci) ma anche nella meccanica, nel tessile abbigliamento, nel ceramico, nel biomedicale, nell’ elettronica, nell’ automobilistica, nell’aeronautica, nella cantieristica navale e via discorrendo.

Ne approfittai per fargli fare un breve escursus socio-economico sulla vera forza del nostro modello, rappresentato da un unico elemento caratterizzante: la presenza di soci lavoratori che vivono con le proprie famiglie nei territori in cui producono i loro prodotti/servizi.

L’attaccamento alla propria terra

L’Italia non è soltanto un paese rappresentato da tantissime piccole imprese, ma è un territorio caratterizzato dalla presenza di tante piccole comunità. Il termine “campanilismo” nasce proprio tra le nostre piccole realtà, a significare l’attaccamento alla propria cittadina, ai suoi usi ed alle sue tradizioni.

I nostri piccoli imprenditori vivono a poche centinaia di metri dalla loro fabbrica, spesso anche nel medesimo stabile. I loro figli frequentano le scuole dell’obbligo a pochi minuti d’auto da casa. La sera raggiungono gli amici sportivi nell’omonimo centro che al massimo può distare venti minuti d’auto da casa. Imprenditori e collaboratori condividono non solo i luoghi del lavoro, ma frequentano i medesimi luoghi di svago e di interesse sociale, condividono il medesimo modello di vita.

Imprenditori che negli anni si sono fatti sostenitori finanziari proprio delle varie attività educative, ricreative e sportive del loro territorio. Non è mecenatismo, ma attaccamento alla propria terra, nonché sviluppo sociale. Un attaccamento che ha fatto sì che dopo i danni, non solo materiali, subiti dal catastrofico terremoto del maggio del 2012, gli imprenditori della bassa modenese, non sono fuggiti all’estero, ma sono rimasti. Sono rimasti ad affrontare non solo le difficoltà della ricostruzione, ma ad affrontare le lentezze e la stupidità della burocrazia.

Negli anni del dopoguerra, fino agli inizi degli anni 70, piccoli imprenditori ed artigiani furono artefici, volontari, di strutture sportive e ricreative di associazioni e parrocchie. Poi negli anni questo tipo di “volontariato” non è stato più possibile. Tutto è business, tutto è danaro. Nel Paese del benessere diffuso, tutto deve avere un prezzo. E questo i nostri politici l’hanno imparato molto bene.

Il territorio restituisce

Il ruolo sociale delle nostre realtà imprenditoriali, piccole o grandi che siano, si è rivelato negli anni in modo chiaro ed inequivocabile. I cittadini e gli amministratori lo sanno molto bene. A volte accade che le imprese necessitino che queste attenzioni vengano loro restituite. E’ il caso di una impresa di costruzioni di Staggia, quella che ha appoggiato i potenti bracci delle proprie gru a sostegno di edifici industriali sia all’Aquila nel 2009, che a Cavezzo nel 2012.

E’ il caso di un’impresa che si trova in difficoltà, e che ha visto l’impegno del Sindaco di San Prospero sulla Secchia per l’apertura di un “tavolo istituzionale” con la Regione, al fine di garantire fiducia ad un’impresa che negli anni “ha dimostrato serietà e professionalità, e che impiega 150 lavoratori”, afferma lo stesso Sindaco.

Conclusioni

Qualcuno sicuramente domanderebbe, ed è assolutamente lecito, se l’intervento delle pubbliche amministrazioni nelle faccende private, non sia configurabile ad una sorta di “aiuto di Stato”.

Direi che la risposta venga da sé, senza dover scomodare esperti in materia. L’unico da scomodare ritengo debba essere “messere” Buonsenso. E’ una questione di vicinanza, di appartenenza, di tutela di un patrimonio locale, alla stessa stregua della tutela di opere storico-culturali. Le nostre imprese vanno tutelate alla stessa maniera, in modo chiaro e trasparente, e senza indugi. Quando l’impresa Giovanni Rana chiese i permessi al Comune di Verona per raddoppiare lo stabilimento veronese, con l’assunzione di più di 200 dipendenti, e l’Amministrazione comunale impiegò più di sette anni a rispondere, la comunità intera veronese avrebbe dovuto denunciare l’Amministrazione stessa di “mancata tutela di un patrimonio locale”.

A San Prospero c’è un’emergenza, c’è la necessità di aiutare un’impresa in difficoltà fortemente radicata sul territorio, ed il Sindaco sta facendo la cosa giusta: sta restituendo ad un’impresa che ha bisogno, ciò che essa ha dato al territorio in tanti anni di attività.

(*) Andrea Lodi, vive a San Prospero (MO), è aziendalista, specializzato in Pianificazione Strategica. Giornalista economico, da gennaio 2009 cura “Economix“, la rubrica economica di PiacenzaSera.it; da settembre 2014 collabora con SulPanaro.net.

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