Il biologico in Emilia Romagna nell’anno appena trascorso ha registrato un aumento di oltre il 20%, secondo i dati SINAB, rispetto al 2016, con 117.289 ettari complessivi pari all’11.3% della superficie agricola utilizzata. Lo spiega il prof. Paolo Parisini, presidente nazionale e regionale del biologico di Confagricoltura, sottolineando che le imprese che producono e trasformano sono quelle che mettono a segno un incremento maggiore, dimostrando che l’operatore bio è orientato al consumatore finale per migliorare la redditività aziendale.
Confagricoltura Modena ricorda che anche un colosso della grande distribuzione come CONAD si è adeguato alle nuove tendenze di consumo, puntando a soddisfare le esigenze dei consumatori che prediligono i prodotti bio ed ecologici.
“Da sempre Confagricoltura Modena si è impegnata a diffondere la cultura del biologico, anche se purtroppo i costi della burocrazia non sono sempre distribuiti in modo equo sulla filiera ma ricadono esclusivamente sui produttori.” Lo sostiene Eugenia Bergamaschi, presidente di Confagricoltura Modena, ricordando che oltre alle produzioni biologiche, per il territorio modenese sono molto importanti le produzioni integrate, anch’esse soggette a rigidi disciplinari, che garantiscono il consumatore sulla salubrità e la sostenibilità dei prodotti alimentari.
Purtroppo – spiega Confagricoltura – la produzione integrata in Emilia Romagna ha subito una battuta d’arresto a partire dagli ultimi due anni, dopo che nel 2016 la Regione, a fronte di un numero molto elevato di domande, ha utilizzato tutti gli stanziamenti previsti anche per gli anni successivi (21 milioni di euro stanziati contro un budget di 8,3 milioni). Questo, secondo l’associazione di categoria, ha impedito alle aziende con impegni in scadenza di rinnovare le domande e accedere ai contributi, rischiando quindi di vanificare i risultati ottenuti.
“In provincia – aggiunge Bergamaschi – abbiamo aziende, soprattutto frutticole, che non riescono ad aderire al disciplinare del biologico per difficoltà nella gestione della difesa fitosanitaria: la mancanza di riconoscimento economico alla produzione integrata, che rappresenta garanzia di salubrità per il consumatore, potrebbe diventare un ostacolo al proseguimento di tali pratiche agronomiche”.
“Tra l’altro – prosegue Bergamaschi- il marchio della produzione integrata italiana SQNPI-Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata è nato nel 2014 ma solo nell’ottobre 2017 sono state approvate dall’Organismo Tecnico Scientifico le procedure di adesione, gestione e controllo e le relative Linee Guida Nazionali per la redazione dei disciplinari regionali di produzione integrata, pertanto non c’è ancora un riscontro del mercato a questa certificazione”.